06/22/2015 – Legal Community

Lavorare a New York: ci sono riuscita così

Camilla Cocuzza, a New York non solo ha studiato ma è riuscita anche nell’impresa di entrare in uno studio legale. Un risultato tutt’altro che scontato ma raggiungibile. Soprattutto se non si guarda solo allo stretto circolo delle “big law”.

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Camilla Cocuzza viene da una famiglia di avvocati. Papà avvocato di libero foro. Mamma che ha lavorato come legale interno per il Mediocredito Lombardo, ora in Banca Intesa San Paolo. E sorella che si è laureata in giurisprudenza da un anno. «Insomma nessuno di noi è “scampato” al destino di codici e sentenze», racconta, «ma personalmente non mi sono mai sentita forzata a intraprendere questa strada». Da un paio d’anni. Camilla lavora a New York in uno studio legale boutique. Il traguardo è stato importante dal momento che, come racconta in questa intervista, riuscire a trovare lavoro nella Grande Mela non è assolutamente facile per un avvocato straniero.

New York come l’hai incontrata?
In nessun luogo mi sono sentita “adatta” e istintivamente “ambientata” come a New York, dove sono arrivata per la prima volta nel 2006, durante l’estate del secondo anno di università, in occasione del Campus Abroad. Di quel caldissimo luglio, oltre alle lezioni alla New York University (NYU), a rischio febbre da aria condizionata, ricordo di aver camminato tantissimo ed esser rimasta letteralmente folgorata dalla città.

E non volevi più andar via…
Volevo trovare un modo per viverci più a lungo, abbastanza da non contare i giorni. Trasferirmi, allora, non era un piano, ma sicuramente un desiderio. La spinta alla decisione vera è arrivata mentre lavoravo come praticante a Milano da Cleary Gottlieb Steen & Hamilton.

Perché?
Da Cleary Gottlieb è un elemento di uguaglianza culturale per gli avvocati fare un LL.M. (Master of Laws) all’estero, sopratutto negli Stati Uniti. Così anche io, pian piano, ho maturato l’idea di partire, ponendomi prima l’obiettivo di superare l’esame di avvocato in Italia. Penso di esser stata fortunata a riuscire a incastrare le due cose al primo colpo.

L’LL.M. incontra pareri discordanti tra gli avvocati: per te cosa ha significato?
La scelta di fare l’LL.M. è stata fondamentale nella mia vita, soprattutto a livello di apertura mentale, crescita e arricchimento personale. Ho conosciuto e sono diventata amica di persone fantastiche, preparatissime e provenienti da tutto il mondo.

E sul piano formativo?
A livello didattico ho vissuto il master come un complemento della mia educazione. L’approccio universitario mi è particolarmente piaciuto: le lezioni si costruivano attorno a un dialogo professore-studenti, dando più spazio all’espressione dello studente e obbligando a una preparazione continua anche se meno capillare e disciplinata.

Ma lo consiglieresti?
Consiglio di valutare a fondo l’esperienza del Master negli Stati Uniti. Voglio però essere chiara sulle prospettive lavorative che offre l’LL.M. A mio avviso e per la mia esperienza l’LL.M. apre a un laureato italiano scarse possibilità di trovare un lavoro pagato in America, soprattutto a New York. In primo luogo è indispensabile sostenere e superare il New York Bar, in modo da ottenere l’abilitazione alla professione. In secondo luogo, bisogna essere molto flessibili, cercare tanto e accettare nel profondo di dover sempre aver a che fare con il limite del visto.

Ossia?
Per vivere e lavorare negli Sati Uniti serve un visto lavorativo e il datore di lavoro deve sponsorizzarlo. Molti datori di lavoro non considerano nemmeno candidati non americani per questo motivo.

La ritieni una scelta alla portata di tutti?
Il master non è affatto una scelta alla portata di tutti, soprattutto economicamente. Le tasse universitarie annuali si aggirano sui 50-60 mila dollari, a cui bisogna aggiungere il costo della casa, della vita e dei testi universitari. Quasi tutte le università offrono borse di studio ma la competizione è alta e solo poche coprono l’intero ammontare. Una di queste è la Fulbright, che però obbliga l’assegnatario a ritornare nel suo paese per almeno due anni dopo il Master. È invece frequente per uno studente ottenere un finanziamento a condizioni agevolate, da ripagare una volta iniziato a lavorare.

Dicevi che trovare lavoro a New York è difficile: ma tu come ci sei riuscita?
Trovare lavoro è stato complicato… la ricerca è stata frustrante e la mia posizione attuale è arrivata in un modo e in un momento inaspettati.

Racconta…
Durante l’LL.M. non ho fatto della ricerca del lavoro la mia priorità e mi sono immersa totalmente nell’esperienza. Solo verso la fine del secondo semestre e durante la preparazione del NY Bar Exam ho cercato lavoro più attivamente ma senza esiti positivi. Non sapevo bene dove cercare e guardavo soprattutto ai grandi studi.

Un errore?
Mi sono presto resa conto che il mio profilo era fuori mercato, perché gli studi americani hanno un processo di selezione dei candidati molto chiaro, che esclude quasi totalmente gli LL.M., soprattutto quelli europei. Infatti, tutte le “big law” aprono posizioni di summer associate appositamente per gli studenti di giurisprudenza (JD) del secondo anno e poi a quegli stessi studenti offrono la posizione di associate dopo il New York Bar.

E gli LL.M.?
Gli studenti LL.M. restano al di fuori di questo processo e gli unici che riescono a trovare lavoro sono quelli il cui studio legale di provenienza ha una relazione solida di mutuo vantaggio con uno studio a New York. In tal caso, allo studente LL.M. viene offerta una posizione di foreign associate, della durata di un anno che, nella quasi totalità dei casi, non si tramuta in una posizione permanente. Questo accade soprattutto a studenti provenienti dal Sudamerica, in particolare dal Brasile, con cui gli Stati Uniti hanno forti relazioni commerciali.

Quindi cosa hai fatto?
Ho iniziato ad allargare il mio ambito di ricerca, guardando anche a studi più piccoli e posizioni di legal intern un po’ ovunque. Tramite il portale di offerte di NYU ho trovato una posizione di legal intern in una start-up. Tuttavia, era ormai agosto, avevo un biglietto di lì a pochi giorni per Milano, l’affitto era in scadenza e l’offerta economica di $500 al mese non era per me concretamente accettabile. Quindi, molto a malincuore, sono tornata in Italia.

E in Italia ti sei rimessa a cercare?
Sì e su suggerimento di un amico ho consultato la lista di studi legali Italiani a New York pubblicata sul sito del Consolato. La lista include sia studi legali internazionali in cui un partner è italiano, sia studi con un Italian desk sia studi boutique fondati da uno o più avvocati italiani. L’elenco è un punto di riferimento per l’assistenza legale degli Italiani negli Stati Uniti, soprattutto a New York. È stato così che ho trovato Cilio & Partners, lo studio boutique dove lavoro da quasi due anni.

In che tipo di studio sei?
Cilio & Partners è una boutique legale a Manhattan che si rivolge e attrae principalmente clienti Italiani negli Stati Uniti. Gli avvocati dello studio parlano anche italiano e sono abilitati sia a New York che in Italia. Cerchiamo di assistere il cliente su tutti i fronti, senza un’area di specializzazione. Io mi occupo principalmente di corporate law, contract, real estate e business immigration. Tuttavia, mi è capitato anche di lavorare su casi di estate administration, small claims e registrazione di marchi.

Che differenze ci sono con l’italia?
Essere avvocato a New York è molto diverso rispetto all’esserlo in Italia e la realtà di una boutique è altro rispetto a uno studio internazionale. Innanzitutto, la professione a New York ha ritmi molto veloci e meno formalità che in Europa. L’avvocato lavora a stretto contatto con il CPA (commercialista) per sviluppare strutture efficienti per l’investitore e l’imprenditore straniero.

Poi?
L’avvocato gode di un alto rispetto sociale ed è un ufficiale del Tribunale (Supreme Court) dello Stato di New York. Per questo, tra l’atro, senza dover sostenere un altro esame, l’avvocato può diventare public notary e certificare l’autenticità delle firme su alcuni atti ufficiali, spesso ad uso amministrativo (ad esempio per i permessi presso il NYC Department of Building).

Cosa deve sapere chi vuole provare a venire a lavorare in uno studio legale a New York?
Per lavorare a New York, in qualunque campo, è necessario un visto lavorativo e per lavorare come avvocato bisogna essere ammessi al New York Bar.

Sembra lunga…
Una strada più veloce, se si cerca un’esperienza temporanea, può essere quella di proporsi come trainee in uno studio legale, meglio se di medie dimensioni, e chiedere di essere sponsorizzati con un visto J-1. Un laureato in giurisprudenza che ha almeno un anno di lavoro alle spalle può ottenere un J-1 con un’estensione massima di diciotto mesi.

01/27/2014 – La Repubblica – Affari e Finanza

The Cnr in the International challenge, but the issue of patents remains

“In un’economia globalizzata, in cui non si possono fare auto scadenti o produrre grano generico ma bisogna industriarsi nelle varietà più sofisticate, la ricerca scientifica è uno degli asset che l’Italia può giocarsi meglio. Purché si mantenga anch’essa sempre al massimo livello”. Luigi Nicolais è consapevole della centralità della sfida e quindi sta attrezzando il Cnr, di cui è presidente da tre anni, in modo più moderno ed efficace.

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“Abbiamo una nuova regolamentazione per cui promuoviamo concretamente gli spin-off finalizzati a valorizzare industrialmente i risultati delle ricerche. Per quelli che meritano, noi investiamo nei costi d’avviamento e nelle apparecchiature, poi rendiamo disponibile al ricercatore il 50% del suo tempo nonché l’uso dei laboratori per tre anni. Dopodiché se sceglie di uscire dall’organico possiamo dare un ulteliore contributo.
Tutto questo è finalizzato ad affiancare la mentalità di imprenditore a quella di ricercatore”.
Ha colto quest’opportunità Carla Ferreri, laureata in Frumacia a Napoli nel 1979, poi dopo una lunga carriera accademica in Italia e in America ricercatrice presso l’Istituto della sintesi organica e della fotoreattività di Bologna e infine fondatrice dello spin-off Lipinutragen.
“Con studi applicati alle conseguenze dei diversi tipi di stress sulle principali biomolecole, dal Dna alle proteine, e con l’individuazione di biomarcatori correlati alla tensione cellulare, abbiamo creato un kit d’analisi del sangue per identificare il livello di deterioramento sui diversi organi dell’essere umano”, spiega la Ferreri, che alla scadenza dei tre anni è rientrata a tempo pieno nel Cnr e si dedica all’azienda nel tempo “libero”, “così la mia giornata è dì 20 ore”. Sulla base dei risultati dell’esame del sangue, “consigliamo una serie di integratori alimentari, alcuni dei quali sono prodotti da noi e altri no”. La Lipinutragen ha fatturato l’anno scorso 500mila euro, ha 10 dipendenti, una convenzione conl’Università di Bologna per i tirocini, sta aprendo una filiazione in Grecia e ha contatti con una serie di altri Paesi per ulteriori ampliamenti.
All’espansione internazionale delle start-up si frappone però da sempre il problema dei brevetti, non tanto in Europa quanto in America, che resta il mercato di riferimento per chi si occupa di innovazione.
“Molte delle nostre bellissime invenzioni non riescono a trovare un risvolto economico”, conferma Bruno Cilio, titolare di uno studio legale internazionale con uffici a Roma e NewYork specializzato in protezione della proprietà intellettuale. “La procedura in America è molto complessa e costosa, al di là del bilancio abituale di una start-up: brevettare una scoperta biomedica o tecnologica costa non meno di l00-200mila dollari. E per di più si è sempre esposti alle denunce di qualche concorrente che proclama di aver scoperto lui per primo quel ritrovato, e una causa per violazione di brevetto può avere conseguenze disastrose per un giovane inventore italiano. Un braccio di ferro in cui le aziende americane riescono quasi sempre a prevalere”.
Dai tempi di Meucci e Bell insomma non è cambiato nulla. “Anche quando non ci sono obiezioni di terzi – rincara Cilio – ci sono gli avvocati interni dell’Us Patent and Trade office che selezionano le richieste con una durezza oltre ogni limite. Spesso va a finire che l’invenzione viene acquistata da qualche grossa corporation, che la paga pochissimo, la utilizza e raramente offre visibilità all’inventore italiano”.
L’importante, insiste Francesco Micheli, “è il cambio di mentalità: in America i ricercatori spingono fin troppo sui brevetti, da noi c’è la corsa alle pubblicazioni internazionali. Che peraltro sono tantissime a conferma appunto della qualità della ricerca”. Nonostante tutte le difficoltà, c’è chi ce la fa. Oppure resta in Italia e aspetta di ricevere qualche proposta da qualche gruppo americano che intende valorizzarne la ricerca.
Anche per questo, si deve dire per fortuna a questo punto, i migliori scienziati spesso risiedono nel nostro Paese.

12/20/2013 – Il Mondo

Neapolitans in New York

Il rilancio anche grazie al nuovo sindaco Bill de Blasio, di origini beneventane come Lee Iacocca. Insegne e griffe nella ristorazione, nella moda e nell’alta tecnologia, pizza e pasta, alta sartoria, ma anche alta tecnologia sono le “merci” da esportazione che da Napoli e dintorni stanno avendo successo in America.

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Dove il made in ltaly campano vive un momento particolarmente fortunato anche grazie all’elezione a sindaco di New York di un italoamericano con radici nella provincia di Benevento. La mamma di Bill de Blasio, Anna, infatti, era nata a Sant’Agata de’ Goti e lui ne parla con orgoglio.
“Sant’Agata de’ Goti fa parte del Sannio, un’area storicamente influenzata dai Longobardi, dove c’è un forte senso del lavoro, del sacrificio e del risparmio”, fa notare Berardo Paradiso, imprenditore nato lì 66 anni fa (per la precisione a Buonalbergo) e da oltre 30 anni negli Stati Uniti, dove opera con l’azienda International tool manufacturing. “Non a caso ha origini sannite uno dei più stimati ceo americani, Lee Iacocca”.
Da gennaio si vedrà se il neosindaco della Grande Mela avrà una tempra da leader come Tacocca, che si era impegnato nella Chrysler oggi rilanciata da Sergio Marchionne. Intanto c’è da registrare la crescita delle iniziative di sapore campano negli States, fra le quali spicca quella che è frutto di una miginalissima combinazione fra hi-tech e tradizione ovvero fra scienza e pizza: Novarem, il primo incubatore di aziende italiane del biotech creato dal ricercatore napoletano Antonio Giordano e finanziato da Mario Sbarro, anche lui di origini napoletane e fondatore della catena di pizzerie omonima, una delle maggiori negli Usa e nel mondo.

NON & FOR PROFIT
Novarem funziona nel prestigioso University city science center di Filadelfia, e ospita già Isenet-Usa, spin-off di Tsenet Italia, società milanese leader nella tecnologia Tma (Tissue microarray) con particolare attenzione alla ricerca sul cancro. “La prossima start-up in arrivo è Euroviron, nata a Napoli e specializzata nello sviluppo di test diagnostici per il cancro al cervello”, racconta Giordano, 50enne, direttore e fondatore della Sbarro health research organization (www.shro.org) oltre che professore di Patologia e oncologia all’Università di Siena.
Dopo la laurea in Medicina a Napoli, Giordano aveva lavorato con il premio Nobel e fondatore detta genetica James Watson ai Cold Spring Harbor Labs in Indiana. “Là ho capito le potenzialità della ricerca in America ed è nato il mio sogno di creare un’organizzazione italiana per la ricerca negli Usa”, ricorda Giordano. “Ho bussato a molte porte e chi mi ha dato fiducia, nonostante avessi solo 28 anni, è stato Sbarro, che mi ha dato 1 milione di dollari e aiutato a materializzare il sogno”. Ora la Shro è una delle istituzioni più citate nella ricerca oncologica e impiega una cinquantina di persone in gran maggioranza italiane.
“Shro è non profit mentre, invece, Innovarem è for profìt e vuole aiutare le start-up italiane con tecnologie biotech a venire negli Usa per trovare finanziatori, partner, clienti”, precisa Giordano.

IL RIVALE AMICO
La prima pizzeria Sbarro aveva aperto nel 1956 a Brooklyn e la sua pizza è la tipica New York style, rotonda, sottile e larga da vendersi a spicchi e mangiarsi possibilmente camminando per strada.
Da pochi anni, però, si sta affermando la pizza verace napoletana, grazie a una nuova ondata di giovani pizzaioli che hanno attraversato l’Atlantico portandosi dietro i forni a legna, la farina e le ricette doc. Il pioniere è stato Michele Iuliano, che nel 2004 ha aperto Luzo e ora è a capo di un gruppo di quattro locali a New York. Il New York Magazine aveva subito celebrato la pizza di Luzo come la più amata dai newyorkesi e da allora le pizzerie napoletane si sono moltiplicate, da Keste a Numero 28, da via Tibunali a San Matteo e Pizzarte, per citarne solo alcune.
“Gli americani hanno scoperto la vera pizza napoletana ed è un boom che non solo fa circolare la cultura partenopea, ma trascina anche altri business”, spiega Bruno Cilio, nato a Napoli 44 anni fa, avvocato fondatore dello studio internazionale Cilio & partners a
Manhattan e co-fondatore anche di Pizzarte. “Per esempio la farina Antimo Caputo, prodotta a Napoli nell’impianto ultra tecnologico dell’Antico Molino Caputo, ha monopolizzato tutto il mercato delle pizzerie in America: il suo distributore ha anche aperto una scuola per pizzaioli nel New Jersey di grande successo”.
Non solo i singoli pizzaioli sono emigrati a cercare fortuna dalla Campania agli States, ma anche le maggiori catene italiane sono recentemente sbarcate a New York, con piani di espansione nel resto degli Usa: Rossopomodoro ha aperto un locale dentro Eataly, la mecca del made in Italy gastronomico sulla Quinta avenue; mentre Fratelli la bufala (Flb) ha acceso nell’Upper West Side l’insegna di un ristorante-pizzeria. “Stiamo guardandoci in giro per trovare altri possibili posti in città, ma intanto abbiamo già programmato le prossime aperture in Centro e Sud America, a Mexico City e Bogotà”, racconta Lorenzo Aragona, 40 anni, napoletano diventato newyorkese nel ’96, presidente e ceo sia di Flb Viktoria corp, la società che gestisce Fratelli la Bufala a New York, sia di Magna America, la holding che vuole sviluppare il brand Flb in tutto il continente. Nel dicembre 2011 Aragona, insieme all’architetto Pierpaolo Martiradonna, ha inoltre fondato Sinfonia group, specializzata nella progettazione e costruzione di progetti residenziali e commerciali, che conta fra i suoi clienti Geox, Dolce e Gabbana, Gucci, Natuzzi.

DUELLO DELLA PASTA
Sempre in campo alimentare, un prodotto campano che negli ultimi mesi è venuto alla ribalta è la pasta Garofalo, uno dei marchi più antichi di Gragnano.
La scorsa primavera aveva lanciato la prima campagna di marketing negli States, gestita attraverso una pagina Facebook molto creativa. Poi, a settembre, è scoppiata la polemica sulle dichiarazioni politicamente scorrette di Guido Barilla sui gay e improvvisamente la Garofalo è diventata la beniamina degli americani che hanno deciso di boicottare la Barilla.

ALTA SARTORIA
Nel campo della moda e del lusso le due firme che portano lo stile napoletano negli Usa sono Kiton e Cesare Attolini, sartorie artigianali di alto livello. La prima realizza il 30% del fatturato totale sul mercato americano, dove ha aperto il primo negozio monomarca nel 2004 a New York; ora ne ha anche a Las Vegas e Miami e progetta di aprirne altri tre, sotto la guida di Antonio Paone, 41 anni, nipote di Ciro, il fondatore dell’azienda. Dopo il crac di Lehman Brothers nel 2008 il fatturato di Kiton negli Usa era crollato del 50%, ma poi si è ripreso e l’anno scorso ha realizzato una crescita del 24% tornando ai livelli pre-crisi.
Cesare Attolini ha aperto nel marzo 2012 sulla Madison avenue la sua prima boutique monomarca oltre a quella di Napoli e adesso sta guardando alle piazze di Los Angeles e Miami, spiegano i fratelli Giuseppe e Massimiliano Attolini, rispettivamente 42 e 48 anni, che insieme gestiscono l’azienda fondata dal nonno, mentre il padre Cesare a 81 anni è ancora attivo nel controllo di qualità della produzione. “Siamo molto soddisfatti dell’esperienza newyorkese perché abbiamo già raggiunto gli obiettivi di vendita che ci eravamo posti per il terzo anno”, dice Giuseppe. “Vogliamo crescere guardando al futuro, ma sappiamo di dover stare fedeli alle nostre radici artigianali di classe per non cadere mai nella volgarità”.

Maria Teresa Cometto

11/26/2013 – Top Legal

Cilio with Morricone for the next American music tour

I professionisti di Cilio coordinati dal founding partner Bruno Cilio hanno seguito l’organizzazione del tour statunitense del maestro Ennio Morricone.
In particolare Cilio ha assistito dal punto di vista legale la Massimo Gallotta Productions, agenzia americana che segue il maestro e il suo staff.
Bruno Cilio e il suo team hanno curato tutte le attività relative alla stipulazionc dci contratti con i due teatri coinvolti, con l’orchestra e gli agenti di riferimento, assicurando il successo del tour americano.

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11/26/2013 – Legal Community

Cilio&Partners with Ennio Morricone

Dopo 6 anni ritorna negli Stati Uniti il maestro Ennio Morricone, con due concerti imperdibili.
Morricone dirigerà un’orchestra di 200 elementi e un coro in due tappe: il 20 marzo al Nokia Theatre di Los Angeles e il 23 marzo al Barclays Center di Brooklyn, a New York. L’organizzazione del tour statunitense del Maestro Morricone è stata seguita dal team di professionisti dello studio legale Cilio & Partners, coordinato dal founding partner Bruno Cilio.
In particolare Cilio & Partners ha assistito dal punto di vista legale la Massimo Gallotta Productions, agenzia americana che segue il maestro e il suo staff. L’avvocato Cilio e il suo team legale hanno curato tutte le attività relative alla stipulazione dei contratti con i due teatri coinvolti, con l’orchestra e gli agenti di riferimento, assicurando il successo del tour americano.

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11/26/2013 – Diritto 24

Cilio&Partners: with Morricone for the next American music tour, first New York and then Los Angeles

Dopo 6 anni ritorna negli Stati Uniti il maestro Ennio Morricone, con due concerti imperdibili.
Morricone dirigerà un’orchestra di 200 elementi e un coro in due tappe: il 20 marzo al Nokia Theatre di Los Angeles e il 23 marzo al Barclays Center di Brooklyn, a New York.
L’organizzazione del tour statunitense del Maestro Morricone e’ stato seguita dal team di professionisti dello studio legale Cilio & Partners, coordinato dal founding partner Bruno Cilio.
In particolare Cilio & Partners ha assistito dal punto di vista legale la Massimo Gallotta Productions, agenzia americana che segue il maestro e il suo staff.
L’Avvocato Bruno Cilio e il suo team legale hanno curato tutte le attivita’ relative alla stipulazione dei contratti con i due teatri coinvolti, con l’orchestra e gli agenti di riferimento, assicurando il successo del tour americano.

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11/25/2013 – Adn Kronos

Music: in 2014, new concert tour with Ennio Morricone

Grande attesa per il ritorno in America del Maestro Ennio Morricone. Dopo sei anni, il Premio Oscar alla carriera dirigera’ un’orchestra di 200 elementi e un coro in due tappe: il 20 marzo al Nokia Theatre di Las Angeles e il 23 marzo al Barclays Center di New York.
A darne notizia Cilio & Partners, lo studio legale internazionale che ha direttamente curato l’organizzazione nel tour statunitense.
Il compositore italiano delle piu’ celebri colonne sonore di film western di tutti i tempi aveva ricevuto un’accoglienza trionfale in occasione della sua prima volta sul podio negli Usa, a New York nel 2007, poco prima di ricevere – dopo 5 nomination non premiate – il riconoscimento deii’Accademy Awards “per i suoi magnifici e multiformi contributi nell’arte della musica per film”.

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10/21/2013 – Italia Oggi Sette

Cilio: USA want less bureaucracy

Bruno Cilio è founding partner di Cilio & Partners, studio con sede a NewYork. Un osservatorio privilegiato per comprendere l’immagine dell’Italia oltreoceano.
“Il provvedimento contiene molte misure che possono incentivare gli investitori stranieri ad investire nella Penisola”, commenta.
“Gli imprenditori americani, ad esempio, sono frenati dalla lentezza della nostra Pubblica amministrazione”.
Da qui la promozione di Destinazione Italia “purché vada a rimuovere in modo drastico quelli che sono stati da sempre i fattori che ne hanno ostacolato l’ingresso: burocrazia eccessiva, una giustizia lenta, una contrattualistica e normativa poco favorevole, e soprattutto un fisco e una tassazione ostile”. Rimuovendo queste barriere e “ripulendo l’immagine all’estero dell’Italia come di un Paese business friendly, si può davvero sperare di attrarre grossi capitali e numerosi investitori stranieri”.

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10/10/2013 – Pambianco Magazine

The law of Fashion

La moda continua ad affidarsi agli studi legali con una certa continuità per ragioni di Intellectual propcrty, mentre, per le questioni straordinarie, non mancano i mandati legati a operazioni di M&A. In base a un monitoraggio condotto dalla law firm advisory Pbv & partners sugli studi d’affari dei gruppi del fashion, basato sul monitoraggio delle principali operazioni dal 2008 a inizio 2013, gli avvocati che si occupano di tutelare la proprietà intellettuale sono comunque quelli che accumulano il portafoglio più ampio di mandati dalle maison.

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Una ideale classifica per numero di clienti, ossia su quanti brand hanno affidato un mandato a uno studio legale, chiaramente, prescinde dal numero di operazioni e dal valore delle stesse. In ogni caso, può essere considerata un indicatore della capacità di proporsi quale benchmark per la propria specifica materia.
Dunque, in questa ottica, quattro studi legali specializzati nell’Ip hanno raccolto sette marchi del fashion system: Studio Legale Borghese, Ip Law Galli, Studio Legale Paschi e Sib Legal. Dietro a questo blocco, il panorama è piuttosto variegato.
Ma spiccano ancora i mandati per operazioni straordinarie, negli ultimi anni talvolta legate a salvataggi e ristrutturazioni. Si distingue Bonelli Erede Pappalardo, tra i maggiori studi nazionali, con quattro clienti (Diesel, Gucci, Ppr-Kering e Tod’s) per servizi prestati nell’ambito Corporate/M&A.
Per esempio, tra le operazioni monitorate dalla ricerca, lo studio è stato impegnato al fianco del gruppo Kcring nell’acquisizione di Pomellato. Dietro Bonelli, segue lo studio Cocuzza con tre mandati (Appie, Claire’s, Zara) nel campo del Real Estate. Poi, lo studio Pedersoli & Associati con due brand in lista per consulenza in Corporate/M&A e Capitai Markets. Per il resto, vari studi hanno ricevuto un unico mandato a testa.

10/08/2013 – America 24

Real Estate: how to buy an apartment in New York

Comprare casa a New York City? Sembra essere questo l’investimento su cui molti italiani stanno puntando anche perché la città “che non dorme mai” è anche quella che, nel panorama americano, ha dimostrato di resistere di più ai colpi dell’ultima crisi. Dai minimi toccati nel pieno della recessione di quattro anni fa, le vendite ed i prezzi sono cresciuti in modo costante. Lo dimostrano alcuni numeri.

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I PREZZI
Sono nella prima metà di quest’anno riporta l’agenzia di real estate Corcoran, le vendite combinate sono state 20.563, in rialzo anche rispetto a quota 18.753 dello stesso periodo del 2012. Nei primi sei mesi del 2009 ad essere passate di mano sono state 13.903 case con un costo medio di 652.000 dollari. Nell’ultimo anno i prezzi sono cresciuti da 756.000 a 792.000.
E Manhattan, dove le vendite dal 2009 sono raddoppiate, non è l’unica area ad attrarre acquirenti. Brooklyn è diventata la destinazione per chi non si può permettersi spese milionarie o per chi preferisce la tranquillità di certi quartieri. Basti pensare che dal periodo gennaio-giugno del 2009 allo stesso arco temporale di quest’anno, le vendite sono cresciute del 62% con prezzi aumentati del 20%.

PERCHE’ SCEGLIERE NY
“Il mercato di New York è un unicum negli Stati Uniti. La crisi [dei mutui] subprime [che ha innescato la peggiore crisi dalla Grande depressione degli anni ’30] ha creato qui uno stallo ma non una caduta del real estate come nel resto del Paese”, ha spiegato ad America24 Bruno Cilio, partner fondatore di Cilio & Partners, uno studio di avvocati specializzati nel real estate che segue anche numerosi clienti italiani.
Secondo Cilio “Manhattan è sempre vincente. Si può anche andare in Florida, dove gli immobili costano meno, ma l’eventuale rivendita richiede più tempo”.
La pensa allo stesso modo l’agente immobiliare Richard Tayar, secondo cui investire nel mattone newyorchese non presenta svantaggi: “è un mercato sicuro, tra i primi al mondo con Londra, Tokyo e Hong Kong, dove i prezzi mostrano dinamicità”. Non si è ancora arrivati però al punto in cui i cosiddetti flippers – quelli che comprano una casa, la aggiustano e la rivendono nel giro di 6-8 mesi – vanno per la maggiore.
Per chi non è interessato a questo tipo di speculazione – ha aggiunto Guido Pompilj, fondatore dell’agenzia immobiliare Vivaldi Real Estate – “è meglio investire a New York. [Negli Stati Uniti] [tasse come] l’Imu e le spese come quelle condominiali sono deducibili e le tasse sulla plusvalenza data dalla vendita di un immobile si pagano solo quando si incassa (al 30%) e non quando si reinveste quel denaro in un altro investimento in real estate.

I VANTAGGI, ANCHE FISCALI
Gli esperti del settore precisano innanzitutto che negli Stati Uniti è praticamente impossibile assistere agli episodi – non rari in Italia – in cui diventa difficile sbarazzarsi di locatari che non versano al proprietario di casa l’affitto. Oltreoceano, precisa Pompilj, “la certezza della legge dà molto valore all’investimento”. Se a New York qualcuno non paga l’affitto un tribunale speciale emette l’ordine di sfratto, una procedura che dura circa sei mesi.
Il vantaggio inoltre di avere un immobile che fa reddito a NY “è che la tassazione su questo reddito è sostanzialmente nulla”, semplifica Pompilj ricordando che chi ha comprato un immobile in Usa ha l’obbligo di dichiararlo in Italia così come l’ammontare di reddito tassabile che ha dichiarato negli Stati Uniti.

L’IDENTIKIT DELL’ITALIANO CHE COMPRA
Allettati dall’andamento del mercato immobiliare residenziale newyorchese e non scoraggiati dal fatto che negoziare al ribasso è diventato impossibile, gli italiani guardano Oltreoceano con sempre maggiore interesse. Il fatto che le compravendite abbiano preso il volo è dimostrato dal fatto che le offerte sono fatte sempre di più in contanti e sopra il prezzo richiesto dal venditore.
“C’è chi lo fa per assicurare un tetto ai figli che studieranno all’estero, chi per avere un punto d’appoggio nei viaggi di lavoro e chi per diversificare il proprio portafoglio consapevole di alcuni vantaggi fiscali”, ha continuato Tayar.
Forse la crisi in Italia frena alcuni, ma la domanda tricolore non manca. Secondo Cilio “gli italiani sono di meno ma fanno investimenti più importanti” (in termine di capitele investito) che in passato.

COSA COMPRARE
Bisogna distinguere tra condo e coop.
Nel primo caso, si tratta di un appartamento all’interno di un palazzo, in cui il proprietario di casa può prendere le proprie decisioni autonomamente. Per intenderei, può rivendere l’immobile quando lo desidera e può affittarlo a chi vuole.
Il caso della coop è esattamente l’opposto: comprando un appartamento in una cooperativa non si diventa proprietari di esso ma soci della cooperativa stessa che possiede l’edificio. In pratica quel che si acquista sono quote corrispondenti alla dimensione dell’unità abitativa acquistata in cui si ha il diritto di vivere uti dominus. In una coop tutto arriva inevitabilmente sul tavolo del board, una sorta di consiglio di amministrazione a cui spettano le decisioni riguardanti il funzionamento e il mantenimento dell’edificio e che passa al vaglio potenziali acquirenti. Questi ultimi vengono interrogati nel senso letterale del termine. L’obiettivo è capire se l’identikit del compratore si addice a quello degli altri soci. Basti pensare che la cantante Madonna è stata bocciata in uno di questi colloqui. Ricevuta l’approvazione del board, se si vogliono fare delle modifiche, serve prima ricevere il suo ok. Se si vuole affittare il proprio appartamento lo si può fare solo dopo un certo numero di anni e per un periodo limitato di tempo che varia da coop a coop.
“Per gli italiani che vogliono fare un investimento, è meglio stare lontani dalle coop: hanno il veto su chi compra, impongono limitazioni sugli affitti e pongono ostacoli quando si decide di disinvestire”, ha spiegato Cilio.
“Il valore aggiunto nelle coop, è la conoscenza dei componenti del board e dell’edificio”, ha aggiunto Pompilj riferendosi al fatto che così facendo si possono avere informazioni da insider sulla qualità della gestione (anche se va detto che i verbali delle riunioni del board sono accessibili a potenziali acquirenti). Comprare un appartamento in una coop infatti significa spesso “ereditare” la posizione debitoria che la cooperativa stessa ha.
Ma cosa preferiscono gli italiani? “La scelta che va per la maggiore è un appartamento con una stanza da letto e con vista” sulla città, ha specificato Tayar. Insomma, si cerca l’effetto New York motivo per cui spesso “si rinuncia alla metratura per il pregio”. A questo proposito, ha continuato il broker, i nuovi condomini sono forse l’opzione migliore. Offrono le cosiddette amenities, ossia servizi che vanno dalla piscina alla palestra, passando per terrazze con zone per fare grigliate in compagnia, sale relax e portiere 24 ore su 24. “Sono tutte cose che fanno alzare le spese di gestione ma che fanno l’effetto New York”, ha chiarito Tayar.

DOVE COMPRARE
La zona piu’ ambita tra gli italiani, almeno quelli che si affidano a Vivaldi Re, è il West Village, dove però c’è pochissima offerta di condomini. Il ritorno sull’investimento è garantito. Come spiegato da Pompilj, in quella zona – abitata da benestanti – è stato recentemente affittato un appartamento di circa 70 metri quadrati, al secondo piano senza ascensore per 5.900 dollari al mese.
E pur di aggiudicarselo, il locatario ha pagato un anno di affitto in anticipo. Altre aree di interesse sono Noho e Nolita.
Per Tayar, Tribeca e Soho sono “cool” ma sono forse le zone più costose di Manhattan. I cittadini tricolore, secondo lui, sembrano preferire il cosiddetto triangolo italiano, quello tra l’Apple store all’angolo sud orientale di Central Park, il negozio di gioiellerie Tiffany e quello di Abercrombie. In pratica l’area centrale dell’isola chiamata Midtown, sia a est verso l’East River sia a ovest verso il fiume Hudson tra la 30esima e la 59esima strada. Anche l’Upper East side, offre “buone occasioni”. Tutto ovviamente dipende da quanto si può investire. Si parte, come minimo, da 500.000 euro.

A CHI FARE AFFIDAMENTO
Comprare casa a New York autonomamente, dicono gli osservatori, è un po’ come fare i turisti fai da te tanto criticati in una vecchia pubblicità Alpitour. A meno che si sia esperti del settore, è meglio affidarsi a chi conosce bene il settore e che può seguire l’iter per l’acquisto di un immobile sin dall’inizio. Vivaldi Re si ispira alle quattro stagioni del celebre compositore per indicare gli step che la società garantisce: ricerca, acquisto, gestione e rivendita.
Tayar propone ai clienti italiani delle opportunità via email su cui si discute via telefono. Una volta individuato il ventaglio di opzioni su cui puntare, l’interessato si reca a New York per vedere di persona gli immobili. “Bastano un paio di giorni”, garantisce l’esperto. “Nel secondo [giorno] avvocati e fiscalisti vengono interpellati per fornire un quadro completo della procedura d’acquisto”. Si chiaro: negli Stati Uniti la figura del notaio così come la si conosce in Italia non esiste. Il suo ruolo è sostanzialmente svolto dall’avvocato che assiste l’acquirente dalla contrattazione alla stilupa del contratto preliminare fino al closing. Anche visure e rilievi vari possono essere gestiti dall’avvocato.
Essere seguiti dal cosiddetto broker (che deve essere dotato di licenza per operare) inoltre “non aumenta i costi della transazione”, ha precisato Cilio aggiungendo: “la commissione infatti viene pagata in misura fissa dal venditore e non cambia se è l’acquirente ad essere assistito. E’ infatti il broker del venditore che è obbligato a dividere la commissione con quello dell’acquirente”.

di Stefania Spatti

10/08/2013 – La Stampa

I want to live in Manhattan. Boom in home sales

Mai così effervescente. Per il mercato immobiliare di Manhattan il terzo trimestre è stato uno dei più attivi degli ultimi decenni. Le vendite di case nell’isola più ambita d’America sono tornate sopra i livelli di salute del2007, ovvero l’anno che ha preceduto lo scoppio dello tsunami finanziario con le pesanti ricadute sul comparto del «real estate» a stelle e strisce.

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A dirlo è un nuovo rapporto di Douglas Elliman, guru del comparto immobiliare, secondo cui a Manhattan si è registrato il secondo miglior dato in termini di vendite degli ultimi 24 anni. Si tratta di un segnale che fa ben sperare gli operatori anche perché le prospettive vedono un ulteriore incremento delle vendite nei mesi a venire. Il dossier Elliman parla chiaro: le transazioni andate in porto sono state 3.873, il 30% in più rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. I locali abitativi in giacenza si sono al contempo ridotti del 21,9% rispetto allo stesso periodo nel 2012, fino ad arrivare a 4.567 unità, la quota più bassa dal 2000.
“I dati del terzo trimestre confermano ancora una volta che New York, a differenza di numerosi altre piazze nazionali ed internazionali, rimane il mercato immobiliare più forte e sicuro nel quale investire”, spiega Richard Tayar, direttore dell’Italian Property Services di Keller Williams. “Non solo il settore è già uscito dalla crisi, ma la recente performance dimostra che stiamo superando i numeri del 2007, quando siamo arrivati al picco dell’attività. – prosegue – Non ci sono segni di cedimento né per quanto riguarda il mercato del lusso e super-lusso né per il medio e medio-basso. I prossimi mesi confermeranno l’andamento attuale”.
A conferma giungono altri dati che completano l’affresco per il periodo compreso tra luglio e settembre. L'”absorption rate”, ovvero l’indicatore che calcola a quale velocità le case disponibili sul mercato vengono vendute, è sceso fino ad arrivare a 3,6 mesi – il ritmo più veloce degli ultimi 13 anni.
Questo vuol dire che i giorni in cui un’abitazione rimane invenduta sono ora appena 88 rispetto ai 191 dell’anno scorso. Questo è forse il dato più significativo perché descrive in modo eloquente il grande fermento e la grande richiesta sul mercato immobiliare della Grande Mela. Il segmento del lusso sta registrando una forte dinamicità e si registrano i migliori dati di sempre dal fallimento di Lehman Brothers nel settembre 2008 ad oggi. Cala l'”absorption rate” oggi a 8,7 mesi, quasi tre in meno rispetto al 2012, mentre il prezzo mediano delle vendite e’ salito del 0,8% per arrivare ad un totale di $4.100.000.
In tutto questo hanno un ruolo importante gli investitori stranieri come racconta Bruno Cilio, avvocato con studio legale a NewYork ed esperto di “real estate”. “Nel corso degli ultimi anni il mercato immobiliare di Manhattan ha attratto tanti investitori stranieri, dai canadesi ai cinesi in primis, ma anche gli europei, tra cui moltissimi italiani che hanno avuto un ruolo importante sia sul fronte degli investitori istituzionali che sul fronte degli investitori privati”.
A giocare a favore di Manhattan è il cambio valutario vantaggioso e la necessità di cercare investimenti meno volatili rispetto a quelli in patria condizionati non solo dalla perdurante crisi finanziaria e dalla situazione di instabilità politica. Eccolo allora che Manhattan si conferma la terra promessa. Ma perché?”Perché è un mercato immobiliare trasparente e sicuro. – prosegue l’avvocato Cilio – L’investitore italiano ha a disposizione studi e analisi che gli permettono di avere una ragionevole certezza ex ante dei costi e del rendimento netto dell’investimento che andrà a fare”.
Conta poi l’aspetto giuridico: “La certezza del diritto, – avverte l’esperto – e una giustizia rapida ed efficace ed un sistema fiscale semplice sono garanzie su cui chi investe non può fare a meno.

di Francesco Semprini

09/09/2013 – Legal Community

Domain and ICAAN procedure

Sono molte le aziende italiane che subiscono gravi danni a seguito della contraffazione del loro dominio internet, soprattutto nei casi in cui la loro attivita’ commerciale si svolga, per una buona percentuale, anche online. Ma non tutti sanno che la tutela giuridica dei domini e’ possibile grazie ad uno strumento piu’ veloce e meno costoso rispetto ad un’azione giudiziale ordinaria, ovvero l’ICAAN, Internet Corporation for Assigned Names and Numbers.

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Generalmente conosciuto come l’organo che amministra il funzionamento di internet, I’ICAAN e’ una persona giuridica costituita nello Stato della California a cui il Dipartimento del Commercio Statunitense ha assegnato il compito di amministrare i protocolli informatici su cui e’ fondata la rete. In particolare ICAAN ha il potere, in esclusiva, di attribuire i nomi a domini detti “di primo livello” generici (Top Level Domain o TLD, ovvero la parte dell’indirizzo lP come “.com”, “.org”, “.net” etc .. ) ed autorizza e supervisiona gli enti, privati o pubblici, che in ogni nazione amministrano i domini di primo livello indicativi di paesi (come “.it”, “.us”, “.fr” etc .. ).
L’ICAAN risolve attraverso procedure amministrative interne la maggior parte delle controversie relative ad un nome a dominio, che gli vengono sottoposte dagli interessati attraverso petizioni, senza il bisogno di ricorrere prima ad autorita’ giudiziali o arbitrati. E il tutto avviene online, piu’ rapidamente quindi delle procedure classiche, con la possibilita’ di una decisione finale in meno di 60 giorni. E’ questo il caso di una societa’ italiana, cliente del nostro studio qui a New York, la cui attivita’ principale consiste nella produzione e vendita in tutto il mondo prodotti di abbigliamento Made in ltaly di alto livello, che ha recentemente avuto bisogno di adire questa procedura.
Un’altra societa’ basata ad Honk Kong stava, infatti, utilizzando un sito web con un nome a dominio identico al marchio della nostra cliente, attraverso il quale vendeva on-line prodotti contraffatti, causando un danno sia commerciale che di immagine alla societa’ italiana.
Secondo l’Uniform Domain-Name Dispute-Resolution Policy (UDRP), codice di regolamentazione codificato dall’ICAAN, l’onere della prova che il ricorrente deve raggiungere per vincere nel procedimento consiste nel provare:

– che il nome di dominio sia identico o simile in maniera fuorviante ad un marchio registrato o ad un marchio depositato di servizio di cui il querelante possiede i diritti

– che il possessore del nome di dominio non abbia diritto o interesse legittimo riguardo al nome di dominio che il nome di dominio sia stato registrato e venga utilizzato in cattiva fede.

Nel caso seguito dal nostro studio, dopo avere depositato le nostre memorie presso la National Arbitration Forum, che e’ il tribunale arbitrale piu’ usato per le dispute riguardanti nomi a dominio, in poche settimane il sito pirata e’ stato messo off-line e la proprieta’ dello stesso trasferita al nostro cliente.
In caso di vittoria del querelante, infatti, il Domain Name Registrar – che assegna i domini di secondo livello fungendo da intermediario tra l’utilizzatore del nome a dominio e l’authority che gestisce i domini di primo livello – provvede a dare esecuzione alla decisione della corte e quindi ad annullare o modificare il nome a dominio.
Sebbene l’azione del querelante attraverso una corte arbitrale riconosciuta dall’ICAAN non precluda un’azione giudiziale ordinaria che abbia come scopo quello di ottenere rimedi diversi da quelli previsti dall’UDRP, come ad esempio il risarcimento dei danni causati dalla registrazione del nome a dominio, l’efficacia del procedimento ICAAN e’ immediata ed efficace e sicuramente molto meno dispendiosa, evitando ad esempio la necessita’ di avviare procedure di urgenza presso un tribunale straniero e le problematiche legate alla notifica degli atti all’estero.

06/26/2013 – Monitor Immobiliare

Cilio (Cilio&Partners): the Empire State Building IPO is an model for Italy

La prossima quotazione a Wall Street dell’Empire State g è seguita con grande interesse dagli addetti ai lavori per la possibilità che agisca da esempio per altri progetti immobiliari in giro per il mondo.
Ne abbiamo parlato con Bruno Cilio, founding partner lo studio legale newyorkese Cilio & Partners.

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D: A questo punto è il processo di quotazione?
R: La quotazione in Borsa dell’icona di New York è ufficiale.
Dopo mesi di battaglie, anche legali, e’ stato finalmente raggiunto l’accordo tra la famiglia Malkin, azionista di maggioranza dell’Empire State Building dal 2002, e il resto dei soci, che inizialmente erano contrari alla vendita dell’edificio.
Il compromesso, già accordato tra i vari soci, prevedeva il pagamento di 55 milioni di dollari da distribuire fra i proprietari di Empire State Building e altre proprietà.

D: Come è nato il progetto di quotazione?
R: Nel momento in cui i Malkin hanno proposto la creazione dell’Empire State Realty Trust Inc, un fondo immobiliare da quotare in Borsa nella quale far confluire, oltre alle 18 proprietà che fanno capo alla famiglia, anche l’Empire State Building.
Attraverso l’assegnazione di un Reit (Real Estate Investment Trust) alla società immobiliare, è stato awiato un piano che consente a chiunque di acquistare, attraverso la vendita di azioni, una piccola parte del noto edificio statunitense.
Lo sbarco in Borsa consentirà alla famiglia Malkin di semplificare la complessa struttura di proprietà dell’Empire State Building e di realizzare ricavi pari a un miliardo di dollari dall’offerta pubblica iniziale.

D: Sono stati quindi superati i problemi degli eredi?
R: Dopo quasi un anno di lotte intestine e’ stato raggiunto l’accordo per procedere aii’Ipo.
L’8O% delle azioni dell’Empire State Building e’ in mano a 2.800 eredi che, con una transazione risalente al 1961, ebbero l’opportunità di acquistare un pezzo dell’edificio. Per poter concretizzare il piano di quotazione, quindi, la famiglia Malkin aveva bisogno di un pieno consenso di tutti gli altri soci.
Però molti di questi piccoli investitori, ricevendo ottimi dividendi dalle loro azioni, erano contrari all’operazione finanziaria.
L’approvazione dei soci rappresenta, quindi, un grande vittoria per la famiglia ed è il primo passo per quella che potrebbe essere la maggiore quotazione della storia del settore immobiliare.

D: Cosa può aspettarsi l’aspirante azionista, al di là del fatto simbolico di avere “un pezzo” del grattacielo più noto al mondo?
R: Con l’assegnazione di un Reit la società immobiliare sarà in grado di evitare, o comunque ridurre significativamente, la quantità di imposte applicabili sul reddito prodotto, considerando che la stessa sarebbe tenuta a distribuire almeno il 90% del reddito imponibile sotto forma di dividendi tra i suoi azionisti.
Inoltre la quotazione consentirà agli investitori immobiliari di essere proprietari di un titolo commercializzabile sul mercato azionario e, come tale, destinato ad essere più liquido e in grado di rendere maggiormente.
Naturalmente, vi sono altre variabili che potrebbero influenzare gli investitori e, conseguentemente, l’investimento stesso, come ad esempio il cash flow, la qualità della proprietà, la posizione o la gestione dell’impresa.
Il valore del profitto realizzabile potrebbe variare anche in relazione all’andamento della gestione dell’immobile stesso.

D: Che impatto può avere l’ipo sulla ripresa del mercato immobiliare Usa?
R: La notizia che Anthony Malkin pianifichi di vendere uno tra i più famosi edifici al mondo restituisce fiducia al mercato immobiliare newyorchese in particolare, ma anche a quello statunitense in generale, che mostra, già da qualche anno, segnali di forte ripresa.

D: Si può pensare a un’Ipo per alcuni immobili storici italiani?
R: E’ difficile pensare a un’operazione simile a quella dell’Empire per edifici simbolo delle nostre città italiane, come il Colosseo a Roma, il Duomo di Milano o il Maschio Angioino a Napoli.
Gli immobili storici sono infatti spesso proprietà del Comune o del ministero dei Beni Culturali e solo in minima parte di privati.
Pertanto, in aggiunta alla difficoltà burocratica e procedurale di vendere un immobile, il cui capitale è posseduto dallo Stato e non da azionisti privati, la profittabilità della quotazione in Borsa troverebbe senso unicamente nella messa a reddito dell’immobile, cosa che non accade.

di Luigi dell’Olio

05/24/2013 – Golem Informazione

Copyright law’s secret recipe. Made in Italy and intellectual property

I marchi italiani alimentari e cosmetici sono i più colpiti dalle violazioni del diritto d’autore negli States. Come proteggere pizza e caponata. Parla l’avvocato Bruno Cilio italiano a New York esperto nella tutela della proprietà intellettuale.
Giù le mani dalla caponata. Non si tocchi l’olio d’oliva buono. E giammai pensare di profanare la composizione di un prodotto cosmetico italiano!
Ristorazione e prodotti alimentari si mantengono in pole position tra le “prelibatezze” italiane da tutelare negli States, senza dimenticare però la moda, la cosmesi e anche l’itech.

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In America, «il settore maggiormente colpito dai casi di violazione del diritto d’autore è sempre quello del food», afferma l’avvocato Bruno Cilio, fondatore e titolare dello studio legale Cilio & Partner, Pc con sede principale a New York e uffici a Roma. «La dinamica è sempre la stessa: una società americana o straniera vende un prodotto simile a quello di un nostro cliente utilizzando ad esempio un packaging o un nome che richiama il brand italiano. Nel nostro studio -che fornisce assistenza per la negoziazione e la redazione di contratti di licenza di proprietà intellettuale o per l’acquisizione e la vendita di aziende che hanno il proprio core business proprio sul diritto d’autore in Italia, Europa e Stati Uniti- abbiamo almeno tre o quattro casi l’anno di questo genere».
La tutela del brand, «l’asset principale di ogni azienda» ricorda il legale, è il primo passo di un’azienda che decide di aprire un nuovo business negli Stati Uniti, prima di iniziare a mettere in commercio prodotti o servizi «per evitare che terzi possano registrare i domini e quindi creare un contenzioso». A marchio registrato il cliente ha diritto a tutta una serie di tutele concesse dalla legge federale in tutto il territorio nazionale: tra queste rientra il potersi avvalere dei tribunali federali invece che di quelli statali in caso di violazione del marchio oppure l’ottenimento delle spese legali, una opzione possibile in America solo in casi come questo, espressamente previsto dalla normativa.

Dove e come – Ci vogliono tra i due e i tremila dollari, in genere, per chiudere la pratica. Il marchio va inserito in una specifica classe, in base alla tipologia di prodotti e servizi veicolati e si paga una tassa di registrazione. «Non ci sono sostanziali eccezioni- spiega Bruno Cilio, che da luglio 2011 ha anche avviato con Dario Cipollaro de l’Ero il ristorante “PizzArte”, in cui coniuga il buono della pizza con il bello di una galleria d’arte sulla 55ma strada – Ci sono dei casi invece, per fortuna rari, in cui la procedura può essere molto più onerosa. Per esempio se ci sono delle eccezioni alla registrazione del marchio sollevate dall’avvocato (examiner) della USPTO (United States Patente Trademark Office), agenzia federale preposta al controllo dei marchi. Oppure se terzi si oppongono alla registrazione prima che questa diventi definitiva. In quest’ultimo caso si instaura presso l’USPTO un vero e proprio contraddittorio tra le parti, che può comportare al cliente costi ulteriori».
Il database sul quale vengono registrati i marchi negli Stati Uniti è pubblico e ogni individuo che abbia interesse può richiederne l’accesso e la consultazione.
Se si vuole proteggere il marchio dall’ingresso negli Stati Uniti di prodotti che violino il diritto di proprietà a livello federale si può ricorrere al Custom & Border Protection, un organismo doganale: «uno strumento efficacissimo per tenere fuori dal mercato i contraffattori e i truffatori, e uno dei benefici più importanti derivanti dalla registrazione di un marchio», chiosa l’avvocato. Che continua spiegando come, nonostante lo studio legale di cui è titolare si occupi anche di diritto societario, M&A, real estate, accordi commerciali, contenzioso e arbitrati, la proprietà intellettuale si attesti come un’attività rilevante per lo studio, pari a circa il 20% del totale. «La maggior parte delle realtà aziendali ottengono la registrazione del marchio attraverso l’atto di consulenti legali basati sul territorio americano, proprio come noi, anche se, ovviamente, ce ne sono moltissime che hanno applicato il Protocollo di Madrid che permette di estendere la protezione anche ad altri Paesi».

di Elena Pasquini

04/29/2013 – Monitor Immobiliare

Cilio: how New York reclamed its competitive spirit

La crisi dei mutui subprime è ormai un lontano ricordo negli Stati Uniti, dove è proprio il mercato immobiliare a trainare la ripresa.
Una situazione che crea interesse tra gli investitori italiani interessati alla diversificazione e attratti dalla forza del super-euro.
Ne abbiamo parlato con l’avvocato Bruno Cilio, founding partner di Cilio & Partners Law Firm.

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D: Come va il mercato immobiliare a New York?
R: A Manhattan nell’ultimo trimestre le compravendite sono risultate del 40% superiori a un anno fa.
La forte domanda e la disponibilità limitata hanno fatto salire i prezzi rispetto al 2012. Il costo medio per piede quadrato è aumentato per ogni categoria di appartamento sia per i condomini, che per le cooperative, generando un rialzo complessivo medio dei prezzi del 13% per i primi, e del 22% per le seconde.
I limiti dell’offerta hanno anche ridotto il numero medio di giorni di permanenza dell’immobile sul mercato, e sconti da “last ask” alla vendita.

D: Cosa cambia tra condomini e cooperative?
R: Queste ultime rappresentano circa il 70% di tutti gli appartamenti sul mercato.
Invece di diventare proprietari dell’appartamento, si diventa soci della cooperativa che possiede tutto l’edificio e si acquista il diritto a vivere nell’appartamento uti dominus con la sottoscrizione delle quote corrispondenti. Per un non residente, la differenza maggiore tra condominio e cooperativa consiste nella libertà di disporre dell’immobile.
Mentre in un condominio si è liberi di affittare o vendere l’appartamento a terzi, nelle cooperative occorre il permesso del board, una sorta di consiglio di amministrazione del palazzo, e l’inquilino/acquirente deve essere letteralmente intervistato e approvato.
Il board ha totale discrezionalità e non ha l’obbligo di motivare le sue decisioni. In passato ha fatto notizia il caso di Madonna, alla quale è capitato di essere rifiutata più di una volta come acquirente.

D: Com’è l’imposizione fiscale sugli immobili?
R: Negli Usa si paga la real property tax, che e’ una tassa che si impone sull’immobile sulla base del valore catastale dello stesso al netto delle deduzioni, e che viene imposta dalle autorita’ locali.
L’importo varia pertanto da contea a contea e da città a città.
A titolo esemplificativo si pensi che una proprietà da 1,2 milioni di dollari al centro di Manhattan oggi comporta una spesa circa 216 dollari al mese di real estate tax.

D: Ha qualche consiglio da dare a chi sta considerando l’ipotesi di comprare un immobile nella Grande Mela?
R: Innanzitutto stare molto attenti alle spese di gestione. A New York alcuni condomini sono dotati di comfort notevoli, come piscine, palestre e centri benessere.
Ovviamente tutto questo ha un costo che si riflette nelle common charges (spese condominiali) mensili.
Se la motivazione dell’acquisto è principalmente fare un investimento, potrebbe essere meglio puntare su condomini -anche se eleganti- non eccessivamente lussuosi. Inoltre è meglio non attendersi grandi sconti, considerato che il ribasso medio del prezzo degli appartamenti rispetto alla prima offerta è tra il 5 e il 10%.

D: Esiste ancora una fiscalità agevolata sulle nuove case?
R: Alcuni edifici di nuova costruzione offrono per chi compra un sostanzioso sconto fiscale per i primi dieci anni dall’emissione del certificato di agibilità.
In alcuni casi però, dietro queste agevolazioni si può nascondere una brutta sorpresa. Fintanto che l’agevolazione è in corso, non è sempre possibile stimare con precisione quali saranno le tasse finali, e alla fine del periodo di sconto queste potrebbero risultare molto più elevate di quanto originariamente preventivato.

D: Quindi cosa conviene fare?
R: Suggerisco di farsi assistere da professionisti del settore. I broker, in possesso di regolare licenza, hanno accesso a tutte le esclusive sul mercato e possono proporre al loro cliente ogni appartamento in vendita.
Essere assistiti da un esperto non aumenta i costi della transazione. La commissione infatti è pagata in misura fissa dal venditore e non cambia se l’acquirente è assistito da un proprio esperto.
Infatti, è il broker del venditore che è obbligato a dividere la commissione con il broker dell’acquirente.

D: Quali implicazioni ha la mancanza della figura notarile come la conosciamo in Italia?
R: Negli Stati Uniti il ruolo di garanzia è per gran parte svolto dal proprio avvocato che assiste l’acquirente o il compratore in tutte le fasi, dalla negoziazione e stipula del contratto preliminare, al closing.
L’avvocato inoltre, attraverso una title agency, si occupa delle visure e dei rilievi necessari a proteggere l’investimento dell’aquirente e a garantirgli l’acquisto di un immobile privo di gravami.

di Luigi dell’Olio

04/29/2013 – Re Real Estate

Empire State Building IPO, a conversation with Bruno Cilio, one of the leading experts of real estate in the Big Apple

La notizia è di quelle che non lascia certo indifferenti. E’ il caso della quotazione di uno tra i più riconosciuti simboli di New York. Stiamo parlando infatti del prossimo debutto in Borsa dell’Empire State Building che si preannuncia foriero di analisi e commenti tra i più vari. Noi abbiamo deciso di scambiare due chiacchiere con l’avvocato Bruno Cilio, Founding Partner di Cilio & Partners Law Firm al quale senza troppi indugi chiediamo:

Avvocato Cilio, cosa significa quotare un immobile?

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L’Initial Public Offering (“IPO”) è un’offerta al pubblico dei titoli di una società che intende quotarsi per la prima volta su un mercato regolamentato. Le offerte pubbliche iniziali sono promosse generalmente da un’impresa il cui capitale è posseduto da uno o più imprenditori che decidono di aprirsi a un pubblico di investitori più ampio contestualmente alla quotazione in Borsa.
Proporre un’IPO per un immobile è sicuramente un’operazione particolare, che mira a offrire sul mercato immobiliare quote di un bene che può essere sfruttato ex post da chiunque decide di investirvi.

Il significato simbolico della quotazione di un edificio quale l’Empire State Building?

Dopo aver speso negli ultimi 5 anni oltre mezzo miliardo di dollari per portare a completamento il restauro dell’edificio, che ha valorizzato ulteriormente la struttura, la famiglia Malkin, che ha alle spalle una lunga tradizione ed expertise nel mercato immobiliare, è ora intenzionata a far fruttare l’investimento. I proprietari dell’Empire State Building stanno infatti finalizzando un piano che consentirà a chiunque di acquistare, attraverso la vendita di azioni, una piccola parte di questo splendido edificio, simbolo della Grande Mela.
L’idea è stata quella di creare l’Empire State Realty Trust Inc, un fondo immobiliare da quotare in Borsa nel quale far confluire, oltre alle 18 proprietà che fanno capo alla famiglia, anche l’Empire State Building. Nello specifico, quindi, gli eredi trasferiscono la proprietà nelle mani di una società che detiene un vasto portfolio immobiliare e che verrebbe successivamente quotata in Borsa, attraverso l’assegnazione di un REIT, Real Estate Investment Trust. E’ quindi la società che possiede l’immobile, e non l’immobile stesso, a essere quotata in borsa ottenendo così importanti benefici fiscali.
L’Initial Public Offering ha l’obiettivo di raccogliere l miliardo di dollari, affermandosi come una delle maggiori IPO nell’industria immobiliare. Da non sottovalutare anche il valore dell’operazione nella semplificazione della complessa struttura di proprietà dell’Empire State Building.
Si tratta di un’operazione senza eguali, data la valenza simbolica dell’edificio, e di riflesso questo fatto potrebbe costituire un precedente importante anche sul mercato immobiliare europeo.

Quali sono i principali step del processo di quotazione?

La famiglia Malkin ha acquistato la proprieta’ dell’Empire nel 2002, ma ha ottenuto il controllo totale dei 102 piani dell’edificio piu’ famoso di New York solo nel 2010. Con un’altezza di 381 metri, il grattacielo in art deco’ e’ stato il piu’ alto del mondo dal 1931 al 1974, quando venne soppiantato prima dalle Torri Gemelle e – dopo l’11 settembre 2001 – dalla Sears Tower di Chicago con i suoi 442 metri.
L’80% delle azioni dell’Empire State Building è pero’ attualmente in mano a 2.800 eredi diversi, che, con una transazione avvenuta nel 1961 ebbero l’opportunità di acquistare un pezzo dell’edificio.
In quel periodo Lawrence Wein (parente di Tony Malkin, l’attuale presidente di Malkin Holdings) architettò l’operazione con Harry Helmsley e l’Empire fu comprato per 65 milioni di dollari. Per poter concretizzare il piano di quotazione in borsa quindi, la famiglia Malkin ha bisogno di un pieno consenso di tutti gli altri soci, che però ha tardato ad arrivare. Molti di questi piccoli investitori infatti, ricevendo ottimi dividendi dalle loro azioni, erano contrari all’operazione finanziaria, pensando che questo potesse diluire i loro profitti mischiando una proprietà di pregio come l’Empire con altre meno pregiate in zone suburbane. L’anno scorso alcuni di loro hanno anche fatto causa ai Malkin per fermare l’operazione. Uno di questi piccoli investitori è il signor Richard Edelman, che possiede 1O azioni che suo nonno – venditore di ascensori – comprò su suggerimento di un vicino.
Secondo dati rivelati recentemente dalla famiglia Malkin il valore di ogni azione dovrebbe aggirarsi attorno ai 330.000 dollari. Con l’accettazione del compromesso proposto ora dal giudice, sembrerebbero essere risolti definitivamente i problemi tra gli eredi.

A che punto è il progetto di IPO dell’Empire?

La quotazione in borsa di quella che si può definire, senza dubbio, come l’icona di New York è ormai molto vicina. E’ notizia di qualche settimana fa il raggiungimento dell’accordo tra la famiglia Malkin e il resto dei soci contrari alla vendita dell’edificio. Per poter concretizzare il piano, il patteggiamento accettato dal giudice ha previsto il pagamento di 55 milioni di dollari da distribuire fra i proprietari dell’Empire State Building e delle altre proprietà presenti nel fondo.
Dopo il via libera al patteggiamento, i Malkin hanno ottenuto i due terzi dei voti necessari per procedere alla quotazione. Un risultato che l’amministratore delegato di Malkin Holding, Anthony Malkin ha definito “incoraggiante”, anche per la velocita’ con cui è arrivato. Gli analisti infatti stimavano tempi piu’ lunghi. E’ giunta invece proprio pochi giorni fa la piena adesione del 90% degli investitori a favore dell’operazione. Una volta ottenuti tutti i voti necessari, l’IPO potrà essere portata a termine nei 2 mesi successivi.

Quale l’impatto sul mercato immobiliare USA?

La notizia che Anthony Malkin pianifichi di “quotare” uno tra i più famosi edifici al mondo, è chiaramente un’operazione che restituisce fiducia al mercato immobiliare newyorchese in particolare, ma anche a quello statunitense in generale, che mostra, già da qualche mese, segnali di forte ripresa.
Dallo studio REIMAX National Housing Report emerge, che a gennaio 2013 i prezzi delle vendite delle abitazioni negli Stati Uniti sono cresciuti dell’B% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. Il numero delle transazioni e’ aumentato del 9,1%.
L’inventario di case in vendita rimane al 28,9%, al di sotto dei livelli registrati nel mese di gennaio 2012, con meno immobili in sofferenza e meno offerta. Con questi presupposti il mercato immobiliare a stelle e strisce dovrebbe perseguire una robusta ripresa per tutto il 2013.
Come da tradizione le vendite di case sono diminuite del 22,0% rispetto a dicembre. Tuttavia si registra un aumento del 9,1% rispetto a gennaio dello scorso anno, mese in cui molti analisti ritengono che sia iniziata la ripresa del mercato.
Delle 52 aree metropolitane oggetto dell’indagine, 41 hanno riportato a gennaio 2013 un incremento delle vendite rispetto a gennaio 2012, con un aunento medio di circa il 40% tra cui: Billings, MT 62,0%, Albuquerque, NM +45,6%, Chicago, IL 39,2%, Raleigh, NC +33,4%, Charlotte, Carolina del Nord 29,2 %, e Providence, RI +28,5%.

Cosa può aspettarsi l’aspirante azionista?

Con la costituzione di un REIT, Real Estate Investment Trust, la società immobiliare sarà in grado di evitare, o comunque ridurre significativamente, la quantità di imposte applicabili sul reddito prodotto, considerando che la stessa sarebbe tenuta a distribuire almeno il 90% del reddito imponibile sotto forma di dividendi tra i suoi azionisti. La quotazione in borsa del REIT permette inoltre agli investitori immobiliari di diventare proprietari di un titolo commercializzabile sul mercato azionario che, per sua natura, è destinato a rendere di più.

Si può pensare a un’IPO simile per complessi immobiliari italiani?

E’ abbastanza difficile pensare a un’operazione simile a quella dell’Empire per edifici simbolo delle nostre città italiane, come ad esempio il Colosseo a Roma, il Duomo di Milano o il Maschio Angioino a Napoli. I nostri immobili storici sono infatti spesso proprietà del Comune o del Ministero dei Beni Culturali e solo in minima parte di privati. Pertanto, in aggiunta alla difficoltà burocratica e procedurale di vendere un immobile, il cui capitale è posseduto dallo Stato e non da azionisti privati, la profittabilità della quotazione in borsa troverebbe senso unicamente nella messa a reddito dell’immobile, cosa che nello specifico non accadrebbe.

di Fabio Pandolfini

04/25/2013 – Il Denaro

Doing business in the United States with Cilio&Partners

Lo studio legale internazionale Cilio & Partners, guidato dall’avellinese Bruno Clllo e con sede a New York, sigla un accordo di collaborazione con Confimprese, l’associazione delle imprese del commercio moderno al fine di supportare tutte le aziende associate nello sviluppo di attività imprenditoriali nella Grande Mela.
Lo studio si impegna tra l’altro a fornire gratuitamente ai soci di Confimprese consulenza legale iniziale e la domiciliazione presso il Dipartimento dello Stato di New York, obbligatoria per avviare un’attività commerciale sul territorio americano. L’accordo di collaborazione permetterà alle Pmi associate a Confimprese di usufruire di una consulenza e un’assistenza legale mirate alloro sviluppo nel complesso mercato americano.

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04/24/2013 – Diritto 24

Cilio&Partners and Confimprese: together to support new Italian businesses in New York

Lo studio legale internazionale Cilio & Partners, con sede a New York, ha siglato un accordo di collaborazione con Confimprese, l’Associazione delle imprese del commercio moderno, per supportare tutte le aziende associate nello sviluppo di attivita’ imprenditoriali nella Grande Mela.
Grazie a questo accordo il team di professionisti dello studio legale Cilio & Partners forniranno, a condizioni economiche vantaggiose per gli associati, i servizi delle principali aree di attività dello studio, che comprendono, tra gli altri, M&A, diritto societario e commerciale, proprietà intellettuale, real estate, immigrazione e arbitrato.
Lo studio si impegna, inoltre, a fornire gratuitamente ai soci Confimprese consulenza legale iniziale e la domiciliazione presso il Dipartimento dello Stato di New York, obbligatoria per avviare un’attività commerciale sul territorio americano.
Confimprese e’ l’associazione che riunisce le imprese del commercio moderno, nei settori del franchising, gdo e reti dirette. Dell’Associazione, operante a livello nazionale, fanno parte piccole e medie imprese omogenee per categoria merceologica – dalla ristorazione all’entertainment, dall’abbigliamento ai servizi -spesso quotate in borsa e, in diversi casi, con una rilevante presenza internazionale. L’accordo di collaborazione permetterà alle piccole e medie imprese associate di usufruire di una consulenza ed un’assistenza legale mirate al loro sviluppo nel complesso mercato americano.

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04/24/2013 – Legal Community

Cilio&Partners in collaboration with Confimprese

Cilio & Partners, con sede a New York, ha siglato un accordo di collaborazione con Confimprese, l’Associazione delle imprese del commercio, per supportare tutte le aziende associate nello sviluppo di attività imprenditoriali nella Grande Mela.
Grazie a questo accordo il team di professionisti dello studio legale Cilio & Partners fornirà, a condizioni economiche vantaggiose per gli associati, i servizi delle principali aree di attività dello studio, che comprendono, tra gli altri, M&A, diritto societario e commerciale, proprietà intellettuale, real estate, immigrazione e arbitrato. Lo studio si impegna, inoltre, a fornire gratuitamente ai soci Confimprese consulenza legale iniziale e la domiciliazione presso il Dipartimento dello Stato di New York, obbligatoria per avviare un’attività commerciale sul territorio americano.
Confimprese è l’associazione che riunisce le imprese del commercio moderno, nei settori del franchising, gdo e reti dirette.
Dell’Associazione, operante a livello nazionale, fanno parte piccole e medie imprese omogenee per categoria merceologica – dalla ristorazione all’entertainment, dall’abbigliamento ai servizi -spesso quotate in borsa e, in diversi casi, con una rilevante presenza internazionale. L’accordo di collaborazione permetterà alle piccole e medie imprese associate di usufruire di una consulenza ed un’assistenza legale mirate alloro sviluppo nel complesso mercato americano.

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03/27/2013 – Il Sole 24 Ore

“Select USA” guides investors through the jungle of incentives

Investitori o imprenditori italiani che vogliono aprire un business negli Stati Uniti hanno la possibilità dì usufruire di una serie di strumenti pubblici di sostegno dell’internazionalizzazione.
Il governo statunitense, infatti, ha messo in atto recentemente importanti iniziative per favorire l’investimento di capitali esteri nel territorio americano al fine di creare nuovi posti di lavoro, stimolare la crescita economica e rilanciare la competitività del Paese. Una di queste iniziative è il programma “Select Usa” (selectusa.commerce.gov), il cui obiettivo principale è proprio quello di attrarre gli investitori esteri offrendo loro
assistenza qualificata per superare le difficoltà gli ostacoli normativi, per accedere in modo più semplice e veloce a rapporti di partnership con aziende o altri stakeholders e garantire un flusso di informazioni chiaro in grado di indirizzare il processo di selezione degli incentivi disponibili.

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Gli incentivi

Le opportunità e il numero degli incentivi a disposizione degli investitori sono molto elevati e per tale motivo è necessaria un’attenta analisi preliminare da parte dell’azienda che voglia investire negli Stati Uniti.
L’analisi deve essere svolta accuratamente tra i programmi offerti dai vari Stati partendo dalle aree geografiche di maggior interesse. In relazione alla propria capacità d’investimento e alle esigenze specifiche è necessario inoltre valutare attentamente quali siano i requisiti necessari per poter accedere ai programmi affetti e raggiungere i propri obiettivi. A causa dell’alto numero di richiedenti, oltre al servizio che il Dipartimento al Commercio offre nel corso dell’intero processo di concessione degli incentivi, è necessario l’aiuto di consulenti locali, con competenze in ambito legale, commerciale e tributario, anche dopo l’analisi preliminare e dopo aver selezionato il programma Che faccia al proprio caso. Questo in quanto, a titolo di esempio, l’agenzia statale o governativa preposta potrà richiedere, quale condizione per l’erogazione degli incentivi, di essere coinvolta nelle fasi successive all’investimento, imponendo determinate clausole all’interno del contratto di locazione o di acquisto dell’immobile che l’investitore intende locare o acquistare per lo svolgimento dell’attività commerciale.

Consigli pratici

Per aprire un nuovo business in America è possibile seguire più strade. Quella più consigliata, perché veloce e meno costosa, è la formazione di una società, piuttosto che avviare una partnership o creare una filale di una società estera.
A New York, per esempio, è possibile creare una nuova società in meno di 24 ore. Non è richiesto un minimo di capitale sociale e non sono previste spese notarili. Le spese legali variano a seconda del tipo dì società ma di norma oscillano tra i 3mila e i 5mila dollari (spese incluse).
Per lavorare e vivere negli Stati Uniti è obbligatorio avere il visto, emesso dal Consolato statunitense in Italia. Ce ne sono di diversi tipi, a seconda del motivo e della durata del trasferimento.
È importante quindi infornarsi bene, sul sito del Consolato o con avvocati esperti in materia, della tipologia di visto adatto al tipo di investimento o alla qualifica professionale e calcolare con attenzione i tempi di approvazione. Di solito un visto lavorativo viene emesso entro qualche mese dal momento della richiesta.
A seconda del business che si vuole intraprendere, ci potrebbero essere ulteriori pratiche da risolvere: di fondamentale importanza è la tutela della proprietà intellettuale. O ancora le questioni di diritto doganale, come anche la richiesta di licenze o permessi di vario tipo per l’attività commerciale che si vuole svolgere.

Investimenti immobiliari

Attenzione alle riduzioni fiscali: alcuni edifici di nuova costruzione offrono per chi compra un sostanzioso sconto fiscale per i primi 10 anni dall’emissione del certificato di agibilità. In alcuni casi però, dietro queste agevolazioni si può nascondere una brutta sorpresa.
Fintanto che l’agevolazione è in corso non è sempre possibile stimare con precisione quali saranno le tasse fìnali ed alla fine del periodo di sconto queste potrebbero risultare molto più elevate di quanto originariamente preventivato.

03/11/2013 – Italia Oggi Sette

The reverse merger option

Bruno Cilio, founding partner di Cilio & Partners, law firm con sede a New York, segue da vicino il Nyse, il mercato borsistico più grande al mondo con una capitalizzazione che si avvicina all’equivalente 15 milioni di miliardi di euro. Così la sua esperienza può essere utile per le aziende italiane che valutano una possibile quotazione negli Usa.

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Domanda. Può essere conveniente per un’azienda italiana, che punta a farsi conoscere a livello internazionale, seguire la strada battuta in passato da una realtà come Natuzzi?
Risposta. Dipende. Se consideriamo che la maggior parte delle aziende italiane è di piccole o medie dimensioni (comprese
molte di quelle internazionalizzate) va considerato che l’Ipo è un’operazione costosa (i soli costi di gestione di una public company viaggiano da 250 mila a 500 mila euro all’anno, senza considerare le consulenze lega1i e quelle agli auditors, oltre alle spese amministrative), dai tempi lunghi (non inferiori all’anno per completare l’intero processo di quotazione) e dal successo non garantito.
D. Esistono alternative?
R. Mi viene in mente il reverse merger, operazione che consiste nell’acquisto di una società già quotata e nella successiva fusione di questa con la società che si vuole portare in Borsa.
La società quotata ha già sopportato con successo i costi, i tempi ed i rischi necessari a diventare una public company e questo offre un vantaggio alla società acquirente, che opera attraverso uno scambio di azioni, per poi procedere alla fusione.
D. Qual è l’esborso medio per condunrre in porto l’operazione?
R. Tra i 400 mila e gli 800 mila euro, con il vantaggio ulteriore di poter stabilire a monte costi certi, mentre in caso
di Ipo i costi legali non sono predeterminabili poiché non è possibile sapere in anticipo quanto tempo prenderanno le negoziazioni con le autorità amministrative di controllo e le attività di audit.
D. Quali tipologie di aziende italiane potrebbero percorrere questa strada?
R. Penso soprattutto alle industrie del made in Italy che creano beni tangibili, e che attraverso la strada della quotazione tramite reverse merger posso vedersi riconosciuto il proprio valore a livello internazionale.

02/05/2013 – Il Giornale di Napoli

Happy ending for tourist imprisoned after dinner

Lieto fine per il turista in prigione per una cena.
La brutta avventura di Graziano Graziussi, turista napoletano, in cella a New York per una cena non pagata, è finita così come era iniziata: in un ristorante.

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Ma stavolta Graziussi era l’invitato d’onore e non ha avuto alcun timore al momento del conto. Ad ospitarlo un noto avvocato italiano che ha un locale proprio nella Grande Mela. Si tratta di Bruno Cilio, titolare di Cilio & Partners Law Firm che ha seguito la vicenda facendosi anche garante del ragazzo: “L’arresto di di Graziussi è inaccettabile e danneggia l’immagine della Grande Mela” ha detto scortando il cliente-amico nel suo ristorante. “Si è trattato di un rigore eccessivo” ha rimarcato. Bruno Cilio, avvocato titolare dello studio Cilio &
Partners su Park Avenue e ristoratore a New York. ha invitato Graziano Graziussi come ospite con i suoi amici presso il proprio ristorante napoletano “Pizzarte”. “Come italiani, ma soprattutto come newyorkesi, riteniamo sia inaccettabile quanto accaduto- ha detto perché New York è da sempre una città ospitale e accogliente, la città con il maggior numero di turisti al mondo che da sempre popolano le sue strade e affollano i suoi ristoranti. Questo episodio rischia di dare un messaggio errato e danneggiare l’immagine della città in Italia e nel mondo”.
Ma cosa era accaduto per far arrestare il giovane napoletano? Graziano Graziussi era andato a cena in una celebre steakhouse dell’East Side, Smith&Wollensky. Al momento di pagare il conto si era reso conto di non avere il portafoglio.
Dopo avere proposto invano di lasciare in pegno il proprio iphone o, in alternativa, di essere scortato fino a casa per poter prendere i soldi, il ristoratore ha chiamato la polizia. E Graziussi è finito per una notte dietro le sbarre. “ln passato nel mio ristorante è capitato un episodio analogo, in cui una cliente si è accorta di non avere il portafoglio. Le abbiamo detto che non era un problema e che poteva ripassare il giorno seguente. Così è stato, il mattino seguente è ritornata, ha pagato il conto e ha anche ringraziato i dipendenti con una generosa mancia. Questa è la vera New York”.

02/04/2013 – Corriere del Mezzogiorno

Dinner without wallets: protest in New York for Neapolitan

L’uomo fu arrestato perché non aveva soldi al momento di pagare il conto in una steakhouse. I connazionali lo difendono.
È diventato celebre per essere stato arrestato a New York perché non aveva con sé il portafoglio al momento di pagare un conto. Ora Graziano Graziussi è andato di nuovo a cena senza portafogli, ma stavolta il malcapitato turista napoletano non ha rischiato l’arresto.

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È andata infatti in scena la protesta contro Smith&Wollensky», uma delle steakhouse più famose della città, rea di aver fatto arrestare Graziussi lo scorso 24 gennaio perché si era dimenticato il portafogli al momento di pagare un conto da 208 dollari.
Come risposta a quanto accaduto nella bisteccheria newyorkese, Bruno Cilio, titolare del ristorante “Pizzarte” ha invitato Graziussi come ospite con i suoi amici presso il proprio ristorante napoletano: una serata rigorosamente senza portafoglio.
“Un episodio inaccettabile” – “Come italiani, ma soprattutto come newyorkesi – ha detto Cilio in una nota – riteniamo sia inaccettabile quanto accaduto, perché New York è da sempre una città ospitale e accogliente, la città con il maggior numero di turisti al mondo che da sempre popolano le sue strade e affollano i suoi ristoranti. Questo episodio ha dell’assurdo e rischia di dare un messaggio totalmente errato e danneggiare ingiustamente l’immagine della città in Italia e nel mondo”.

02/04/2013 – Ansa

Forgotten wallet. Italian Solidarity initiative

Graziano Graziussi va di nuovo a cena senza portafogli, ma questa volta il malcapitato turista napoletano a New York non rischia l’arresto. Va in scena la protesta contro ‘Smith&Wollensky’, una delle steak house più famose della città, rea di aver fatto arrestare Graziussi lo scorso 24 gennaio perché si era dimenticato il portafogli al momento di pagare un conto da 208 dollari.

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Come risposta a quanto accaduto nella bisteccheria newyorkese, Bruno Cilio, titolare del ristorante ‘Pizzarte’, ha invitato Graziussi come ospite con i suoi amici presso il proprio ristorante napoletano: una serata rigorosamente senza portafoglio. “Come italiani, ma soprattutto come newyorkesi – ha detto Cilio in una nota – riteniamo sia inaccettabile quanto accaduto, perché New York è da sempre una città ospitale e accogliente, la città con il maggior numero di turisti al mondo che da sempre popolano le sue strade e affollano i suoi ristoranti.
Questo episodio ha dell’assurdo e rischia di dare un messaggio totalmente errato e danneggiare ingiustamente l’immagine della città in Italia e nel mondo”.

01/31/2013 – Top Legal

Cruciani opens in Palm Beach

Cruciani, assistito da Cilio & partners, debutta in Florida inaugurando un nuovo flagship store a Palm Beach. Luca Caprai, fondatore del brand noto per i braccialetti in pizzo macramè, è stato assistito da un team di professionisti coordinato dal founding partner Bruno Cilio.
Cilio & Partners ha assistito Cruciani in tutte le fasi di costituzione della nuova boutique a Palm Beach e nella contrattualistica relativa all’apertura e all’avvio delle attività commerciali.
La boutique si affianca allo showroom presente a New York rafforzando la presenza del gruppo sul
mercato americano e fa seguito alle recenti aperture internazionali della maison a Madrid, Tokyo e Dubai.

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01/31/2013 – America 24

Cruciani cashmere arrives in Palm Beach

Cruciani, assistito da Cilio & partners, debutta in Florida inaugurando un nuovo flagship store a Palm Beach. Luca Caprai, fondatore del brand noto per i braccialetti in pizzo macramè, è stato assistito da un team di professionisti coordinato dal founding partner Bruno Cilio.
Cilio & Partners ha assistito Cruciani in tutte le fasi di costituzione della nuova boutique a Palm Beach e nella contrattualistica relativa all’apertura e all’avvio delle attività commerciali.
La boutique si affianca allo showroom presente a New York rafforzando la presenza del gruppo sul
mercato americano e fa seguito alle recenti aperture internazionali della maison a Madrid, Tokyo e Dubai.

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01/04/2013 – Top Legal

Bruno Cilio interview on Empire State Building IPO

La Sec, l’organo di vigilanza del mercato azionario Usa, ha approvato il filing per la quotazione dell’Empire State Building, al quale hanno lavorato Clifford Chance e Hogan Lovells.
Clifford Chance sta assistendo l’Empire State Realty Trust, il trust in cui è conferito l’immobile di proprietà di Malkin Holdings (dell’omonima famiglia), con il partner di capital markets Larry Medvinsky e il counsel Jason Myers, entrambi della sede di New York.

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Hogan Lovells invece è al fianco del consorzio di sottoscrizione, guidato da Bank of America/Merrill Lynch e Goldman Sachs, con il corporate partner Stuart Barr.
Malkin Holdings ha depositato lo scorso febbraio il filing di quotazione che valuterebbe l’edificio in torno ai 2,5 miliardi di dollari. Altri immobili in possesso della stessa società verrebbero valutati complessivamente intorno a 1 miliardo.
La famiglia Malkin, proprietaria dell’immobile, spera di ricavare almeno un miliardo di dollari nell’offerta pubblica iniziale. Nelle prossime settimane, quindi, proseguirà il lavoro per mettere a punto l’operazione.
La famiglia ha acquistato la proprietà dell’Empire State building nel 2002, ma solo nel 201O ha ottenuto il controllo totale dei 102 piani dell’edificio (381 metri di altezza), che è stato per anni al centro di battaglie legali tra i Malkin, il magnate immobiliare Donald Trump e l’ereditiera Leona Helmsley, deceduta nel 2007.
“Allo stato attuale, la notizia che la Sec abbia accolto la richiesta presentata dalla famiglia Malkin ha dato agli americani un segnale positivo sulla piena ripresa del mercato immobiliare di New York e statunitense più in generale”, ha commentato a TopLegal Bruno Cilio, founding partner di Cilio & Partners law firm a New York e specializzato nel real estate.
Un’operazione interessante anche perché permetterà a chiunque, argomenta ancora Cilio, di poter acquistare un pezzetto di questo edificio-simbolo, attraverso la sottoscrizione di azioni della società che lo possiede. Inoltre, “attraverso l’assegnazione di un Reit (Real Estate lnvestment Trust) la società immobiliare potrebbe essere in grado di ottenere importanti benefici fiscali”, aggiunge il legale. Lo sbarco in Borsa, inoltre “consentirà alla famiglia Malkin di semplificare la complessa struttura di proprietà dell’Empire State Building”.
“Si tratta di un’operazione storica senza eguali, almeno dal punto di vista simbolico. E di riflesso anche sul mercato europeo – conclude Cilio – questo fatto potrebbe costituire un precedente importante”.

12/18/2012 – Corriere della Sera

One on one interview with Bruno Cilio

“Noi avellinesi siamo i cugini più riservati e meno invasivi dei napoletani”, scherza il 43enne Bruno Cilio, socio fondatore e titolare deUa Cilio & Partners PC, lo studio internazionale di Diritto Statunitense e Italiano che attraverso i suoi uffici a New York e Roma si prodiga per esportare in Usa eccellenze italiane e campane quali la nota catena di pizzerie Fratelli la Bufala, la pasta De Cecco, l’azienda di alta sartoria Kiton e il cachemire Cruciani.

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“La mia missione è aiutare il made in Campania, qui già mito, a sfondare in America”, spiega Cilio, sposato con una texana e padre di 4 figli. Ha tutte le carte in regola per riuscirci. Figlio di un muratore e di una casalinga, Cilio è l’ultimo di sei figli, l’unico della sua famiglia a essersi laureato, (prima in Giurisprudenza a Napoli, e poi in Diritto Comparato alla Pace University).
Il suo primo viaggio negli Stati Uniti avvenne all’età di 23 anni per far visita al fratello maggiore, meccanico, trasferitosi in Usa nel 1972. Il resto è storia.
“Oggi in America esiste una nuova lobby napoletana di imprenditori di successo”, afferma Cilio, “al di là degli storici marchi, vi sono tante altre realtà partenopee poco conosciute che potrebbero avere altrettanta fama.
Penso alle industrie conserviere del pomodoro del nocerino sarnese, all’azienda di moda Marinella oppure al consorzio orafo del Tarì, all’altezza di quello di Arezzo”.
Come far conoscere all’America queste realtà manifatturiere? “Non certo inviando cataloghi o delegazioni italiane in Usa”, ribatte, “ma piuttosto invitando gli addetti ai lavori in Campania. Per entrare in contatto con le nostre tradizioni e specialità”. “Il passo successivo”, incalza, “è creare partnership con chi ha il monopolio nel mercato di un prodotto, invece di cercare senza esito di scardinare la loro leadership”.
Nel caso dell’oro, Cilio ipotizza “la creazione di un consorzio tra gli orafi del Tarì e quelli ebrei americani della
47a strada”. “Lo stesso vale per il settore della pasta, coinvolgendo pastifici di Gragnano e agricoltori americani, dato che la farina di qualità oggi è tutta made in Usa”.
“Che si venga da Belluno oppure da Napoli, la chiave per sfondare in America è dotarsi di un team di professionisti di fiducia tra cui un avvocato”, puntualizza, “Gli italiani giudicano erroneamente gli americani come sprovveduti. Ma davanti agli affari questi non muovono un passo senza consultare il loro legale”.
Gli Usa sono un mercato pieno di regole che, se ignorate, possono rivelarsi fatali. “Basta pensare alle coperture assicurative”, continua Cilio, “che è sempre meglio stipulare direttamente qui e non in Italia”.
Ma in un mercato dove il made in Italy “sfonda ogni porta”, è possibile affermarsi “soltanto se si è uniti, come i francesi, e non irrimediabilmente individualisti”.
“Dobbiamo creare delle joint-venture per preservare i nostri prodotti, soprattutto quelli made in Naples come la pizza, facendone conoscere la tradizione antichissima e le specifìcità che li distinguono dai sempre più numerosi tentativi d’imitazione”. Il modello da emulare? “Quello delle imprese agroalimentari del sud che recentemente si sono messe insieme creando il consorzio Tradizione Italiana per promuovere i loro prodotti negli Stati Uniti”».
La gastronomia, dopotutto, è nel suo cuore. Oltre all’attività di avvocato d’affari, Cilio è un imprenditore di successo nel settore della ristorazione: nel luglio 2011, con il socio e manager Dario Cipollaro de l’Ero, ha inaugurato il ristorante “PizzArte”, primo concept di pizzeria napoletana/galleria d’arte a New York, nel cuore di Manhattan, sulla 55ma strada.

12/10/2012 – Italia Oggi

The reverse merger option

Nel pieno rispetto della tradizione che vede molti italiani attratti dalle opportunità di lavoro che New York offre, quella di Bruno Cilio, campano di Atripalta, provincia di Avellino, è una storia unica nel suo genere. Oggi è a capo di una delle più accreditate boutique legali nella Grande Mela, ma non solo. Da uomo del Sud, fortemente legato alla tradizione italiana, Cilio ha realizzato anche un ambizioso progetto imprenditoriale: creare un locale di ristorazione in grado di distinguersi e proporsi come riferimento per le nuove generazioni di artisti.

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PizzArte, come testimoniano alcuni articoli apparsi sulle grandi riviste americane, è il primo concept di pizzeria-galleria d’arte a New York.
“Questa città è un unicum nel suo genere, offre molte opportunità. L’importante è saper le cogliere”, ci spiega Cilio.
E infatti, appena laureatosi in legge a Napoli, Cilio intende subito avviare la sua formazione professionale per fare l’avvocato d’affari. “Andai a trovare mio fratello maggiore che viveva negli
Stati Uniti, con l’obiettivo di perfezionare l’inglese. In realtà rimasi li, completai i miei studi con un master alla Pace University School of Law di New York”. Successivamente l’abilitazione professionale all’esercizio a New York nel 2000, conseguita nel giorno del suo 31esimo compleanno, e l’anno successivo l’iscrizione all’albo di Avellino.
“Le mie prime esperienze sono state in piccoli studi di avvocati americani, che non avevano una grande prospettiva di crescita sul mercato italiano. Mi occupavo principalmente di azioni di responsabilità contro brokers di Wall Street e di arbitrati avanti al Nasdaq e al Nyse. Dopo la mia ultima esperienza come socio di un noto studio internazionale italiano, proprio per la specializzazione acquisita negli anni in materia di contratti e commercio internazionale, mi sentivo pronto per iniziare la mia attività in proprio, proponendomi come partnet legale di imprese italiane interessate a sbarcare in America”, spiega Cilio.
Nasce cosi Cilio & Partners P.C., struttura molto snella, oggi centrata su sei professionisti, in grado di offrire l’assistenza legale necessaria a muovere i primi passi in America e sviluppare strategie commetciali o finanziarie.
“Questo è un paese dove la tendenza alla lite è molto elevata.Occorre quindi conoscere e prevenire tutti i possibili aspetti di conflittualità. Solo attraverso un’attenta disamina delle questioni è possibile pianificare e assicurarsi la necessaria operatività nel rispetto delle norme vigenti”· Lo studio, si diceva, opera soprattutto nel settore della contrattualistica e del diritto societario.In questo segmento rientrano le attività di real estate e gli accordi commerciali internazionali, con le connesse questioni di proprietà intellettuale e utilizzo dei marchi.
Soprattutto per i prodotti italiani che godono di un’elevata notorietà e presa sul pubblico. Molte le
operazioni seguite da Ci!io per clienti italiani: dalla catena di ristoranti dei Fratelli La Bufala al gruppo De Cecco, passando per gli stilisti del made in Italy Angelo Galasso, Kiton e Cruciani.
Molto importante è stata la consulenza prestata all’università La Sapienza di Roma nella ricerca, negoziazione e acquisto di alcuni immobili a New York, destinati agli studenti impegnati in corsi di specializzazione in America.
Guardando al futuro, Bruno Cilio vede una progressiva crescita dello Studio, sempre caratterizzata però da una forte attenzione al cliente. “L’avvocato è il primo partner dell’imprenditore che vuole operare in questo mercato e deve diventare parte integrante del suo team.
Noi crediamo ci sia spazio per sviluppare il nostro business, a iniziare dalla consulenza personalizzata in tema di trust ed estate planning per tutelare e aiutare a gestire ipatrimoni personali”.
Bruno Cilio fa parte del Foreign, Corporale and lnternational Law Committes of the New York Country Lawyer’s Association, importante vetrina istituzionale sulle questioni più rilevanti per gli avvocati d’affari attivi a New York. Ma una delle caratteristiche di Cilio è la creatività imprenditoriale sviluppata negli anni attraverso la sua esperienza al fianco di imprenditori di rilievo. PizzaArte ne è la conferma.
“Aprire un locale a New York, unadelle piazze più complesse ed esigenti è stata un’avventura molto stimolante. E un modo anche per portare energie e cultura italiana in questa città”, racconta. La sua grande passione è anche il jazz. Diplomato al Conservatorio di Avellino in trombone, suona con amici sia perdivertimento sia professionalmente.
Celebri le sue performance con la Tribunal Mist Jazz Band al Petit Journal di Parigi e alTeatro delle Nazioni Unite nel 2002. “Oggi ho meno tempo per la musica, ma non è detto che prima o poi riprenda assiduamente questa grande passione”.

11/28/2012 – Monitor Immobiliare

Tax increase doesn’t stop the market growth

Il mercato immobiliare è da sempre la cartina di tornasole dell’economia americana, sia nelle fasi positive, che in quelle negative.
Per questo abbiamo intervistato Bruno Cilio, founding partner di Cilio & Partners, law firm con sede a New York.
Come va il mercato usa?
Nel mese di settembre le vendite di nuove case negli Stati Uniti sono cresciute del 5,7% raggiungendo
una quota di 389 mila unità.

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Il dato reso noto dal dipartimento del Commercio è migliore delle attese degli analisti che si
attendevano un livello di 386 mila unità.
Si tratta del livello più alto dall’aprile del 2010. Nello stesso mese, inoltre, il prezzo medio si è attestato a 242.400 dollari, dai 250.400 precedenti, mentre il numero di case in vendita è sceso all’equivalente di 4,5 mesi di vendite, il livello più basso dall’ottobre del 2005.
D: Al di là dei numeri crudi, si riscontrano nuovi trend nel mercato?
R: La prospettiva di un possibile leggero aumento delle tasse legate al capital gain poteva far pensare a
una corsa alla vendita degli immobili per anticiparne l’entrata in vigore.
Apparentemente la corsa non c’è stata oppure è stata facilmente assorbita dall’aumento della domanda
e quindi la ripresa del mercato immobiliare è più forte di quello che sembra.
Un capitolo a parte spetta alla fascia di mercato “super luxury” rappresentato da proprietà di valore
superiore ai 10 milioni di dollari.
Questa fascia ha risentito certamente in misura minore delle conseguenze della crisi e sta vivendo un
momento di grande crescita a Manhattan.
Basti pensare che nel corso del 2011 il mercato del super luxury è cresciuto in valore del 13% rispetto
al 3-4% del mercato immobiliare complessivo, rappresentandone in volume l’11 %.
Unitamente a questi elementi c’è un altro importante trend da considerare, ovvero la popolazione in
aumento che di fatto garantisce un livello della domanda elevato e un valore medio degli affitti molto
alto.
Il numero delle abitazioni residenziali occupate a Manhattan raggiunge circa il 99% secondo alcune
rilevazioni del mercato.
Qui l’equilibrio fra domanda e offerta è tradizionalmente più favorevole per i venditori.
Le possibilità di sviluppo immobiliare sono estremamente limitate soprattutto nelle zone centrali e infatti si stanno portando avanti iniziative per riqualificare zone tradizionalmente meno appetibili.
D: Come va il mercato degli uffici?
R: In questo periodo si nota un aumento delle disponibilità specialmente nella zona Midtown con un
“vacancy rate” che ha raggiunto il valore dell’11,1 %, il piu’ alto dal quarto trimestre del 2010. Questo
si riflette anche sui canoni di affitto che sono rimasti sostanzialmente stabili rispetto al secondo
trimestre dell’anno.
Per quanto riguarda invece il mercato commerciale a Manhattan, il retail ha registrato un andamento
positivo con affitti stabili o in crescita.
I mercati principali hanno continuato ad intensificare le attivita’ di leasing con canoni crescenti; al
contempo i mercati secondari come l’Upper East Side ol’Upper West Side hanno dimostrato che mentre
i visitatori stranieri o domestici contribuiscono significativamente alla “salute” del mercato retail, i
residenti influiscono sull’andamento del mercato in misura relativa in base al “”.
D: Stanno tornando gli investitori stranieri?
R: In realtà non sono mai andati via. Infatti tra i principali fattori che stanno contribuendo alla
significativa crescita della domanda nel comparto real estate, c’è da annoverare proprio la massiccia
presenza di investitori stranieri, e tra questi specialmente i Brasiliani.
Basti pensare che a Miami ad esempio, il 40% dei condo venduti nell’ultimo anno sono stati acquistati
da Brasiliani. Seguono Russi, Argentini e Italiani.
Per questi ultimi, tra i vari fattori di interesse per il mercato di NY, il tasso di cambio svolge sicuramente un ruolo ancora importante.
L’euro ha avuto picchi notevoli, ma ancora oggi si mantiene su un livello favorevole.

Luigi Dell’Olio

11/23/2012 – Scopri New York

Many people want to buy an apartment in New York, but there aren’t many

La ripresa del mercato immobiliare di New York è stata confermata dai dati relativi alle vendite di appartamenti residenziali di questo terzo rimestre. Una forte domanda, spinta soprattutto dai bassi tassi di interesse sui mutui, ha ridotto il numero degli appartamenti in vendita nelle principali aree residenziali di New York dell’11% rispetto al trimestre precedente.

Se guardiamo invece allo stesso periodo dell’anno scorso, la riduzione è pari al 22%, a conferma del trend in atto. L’offerta di nuovi appartamenti sul mercato non compensa la crescita della domanda, con il risultato che il numero degli appartamenti in vendita risulta essere al suo punto più basso in oltre 7 anni, con poco più di 7000 listing (tra condomini e cooperative) disponibili.

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Seguendo la più elementare delle leggi dell’economia, questa differenza tra domanda e offerta si è tradotta in un aumento dei prezzi, il più robusto dalla crisi del 2008, che ormai sembra essere definitivamente alle spalle. Il prezzo medio degli appartamenti in vendita è cresciuto del 5% in sei mesi e di ben il 16.7% rispetto ad un anno fa.

Attualmente un guadagno netto di $250.000 (al netto del costo di acquisto, dei costi per il passaggio di proprietà, delle spese di ristrutturazione e di ogni altro costo deducibile sostenuto durante la proprietà dell’immobile) o più sulla vendita della propria residenza principale (la soglia minima sale a $500.000 per case possedute da coppie sposate) viene tassato con un aliquota fissa del 15%. Questa aliquota, originariamente del 20%, era stata ridotta durante la presidenza Bush. Si trattava di una misura provvisoria che avrebbe dovuto, secondo le intenzioni degli estensori, rilanciare l’economia statunitense, ma che è servito in realtà solo ad aggravare (non da sola ovviamente) il deficit del bilancio federale. Con la fine dell’anno in corso, anche il tax-break di Bush è destinato a terminare e l’imposta sul capital gain ritornerà al normale 20%. A questo però va anche aggiunto un ulteriore 3.8% che il congresso ha recentemente votato per finanziare Medicare, il programma di previdenza sociale statunitense sempre a corto di risorse.

In totale quindi, a partire dal 2013, l’imposta sul capital gain passerà dal 15% al 23.8%, un aumento di più del 50%. Si era quindi immaginato che la prospettiva di un aumento delle tasse di questa entità avrebbe causato una corsa alla vendita per anticiparne l’entrata in vigore. Apparentemente, o la corsa non c’e’ stata, oppure questa è stata facilmente assorbita dall’aumento della domanda e quindi la ripresa del mercato immobiliare è persino più forte di quello che sembra.

Bisogna infine notare che tra i principali fattori che stanno contribuendo a questa incredibile crescita della domanda, c’è da annoverare la massiccia presenza di investitori stranieri, e tra questi specialmente i brasiliani. A Miami ad esempio, il 40% dei condo venduti nell’ultimo anno sono stati acquistati da brasiliani.

11/12/2012 – Scopri New York

Would you like to buy a house in New York? Advice from the expert

Ecco 6 cose da sapere per chi vuole comprare casa a New York.

1) Contenere le spese – A New York alcuni condomini sono dotati di comfort notevoli. Piscine, palestre, centri benessere a disposizione dei condomini. Ovviamente tutto questo ha un costo che si riflette nelle common charges (spese condominiali) mensili. Mantenere un appartamento a New York puo’ quindi risultare caro. Se la motivazione dell’acquisto è principalmente quella di fare un investimento, potrebbe essere meglio puntare su condomini -anche se eleganti- non eccessivamente lussuosi.

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2) Non aspettarsi forti sconti – Contrariamente alla leggenda secondo cui a New York si possono negoziare sconti anche del 20%, il ribasso medio del prezzo degli appartamenti rispetto alla prima offerta è tra il 5-10%.

3) Attenzione ai tax abatement – Alcuni edifici di nuova costruzione offrono per chi compra un sostanzioso sconto fiscale per i primi 10 anni dall’emissione del certificato di agibilità. In alcuni casi però, dietro queste agevolazioni si puo nascondere una brutta sorpresa. Fintanto che l’agevolazione è  in corso non è sempre possibile stimare con precisione quali saranno le tasse finali ed alla fine del periodo di sconto queste potrebbero risultare molto più elevate di quanto originariamente preventivato.

4) Evitare le coop se si vuole investire – Gli appartamenti a New York possono essere acquistati all’interno di condomini o cooperative. Le cooperative, che rappresentano circa il 70% di tutti gli appartamenti sul mercato, sono forme proprietarie in cui invece di diventare proprietari dell’appartamento si diventa soci della cooperativa che possiede tutto l’edificio e si acquista il diritto a vivere nell’appartamento uti dominus con la sottoscrizione delle quote corrispondenti. Per un non residente, la differenza maggiore tra condominio e cooperativa consiste nella libertà di disporre dell’immobile. Mentre in un condominio si è  liberi di affittare o vendere l’appartamento a terzi, nelle cooperative occorre il permesso del Board, una sorta di consiglio di amministrazione del palazzo, e l’inquilino/acquirente deve essere letteralmente intervistato ed approvato. Il Board ha totale discrezionalità e non ha l’obbligo di motivare le sue decisioni. Fu eclatante il caso di Madonna, a cui ècapitato di essere rifiutata più di una volta come acquirente.

5) Rivolgersi agli esperti – Quando si acqusita a New York è consigliabile farsi seguire da un proprio broker. I broker, in possesso di regolare licenza, hanno accesso a tutte le esclusive sul mercato e possono proporre al loro cliente ogni appartamento che sia in vendita. Essere assistiti da un proprio esperto non aumenta i consti della transazione. La commissione infatti è pagata in misura fissa dal venditore e non cambia se l’acquirente è assistito da un proprio esperto. Infatti, è il broker del venditore che è obbligato a dividere la commissione con il broker dell’acquirente.

6) Ascoltare l’Avvocato – La figura del notaio come la conosciamo in Italia non esiste negli Stati Uniti. Il ruolo di garanzia svolto dal notaio è per gran parte svolto dal proprio avvocato che assiste l’acquirente o il comprature in tutte le fasi, dalla negoziazione e stipula del contratto preliminare, al closing. L’avvocato inoltre, attraverso una title agency, farà fare le visure ed i rilievi necessari a proteggere l’investimento dell’aquirente e a garantirgli l’acquisto di un immobile privo di gravami.

11/02/2012 – Legal Community

US incentives for foreign investors

Per cercare di dare un’ulteriore spinta alla ripresa economica interna, il governo degli Stati Uniti ha messo in atto recentemente importanti iniziative per favorire l’investimento di capitali esteri nel territorio americano. Dal 2011 il Dipartimento del Commercio statunitense sotto la guida dell’amministrazione Obama ha lanciato infatti, tra le varie iniziative, “SelectUSA”. “Scegli gli USA”, nome abbastanza esplicativo della mission che il programma si propone, ha l’obiettivo principale di attrarre gli investitori esteri al fine di creare nuovi posti di lavoro, stimolare la crescita economica statunitense e rilanciare conseguentemente la competitività del Paese.

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Piu’ nel dettaglio SelectUSA incoraggia e facilita l’impiego di capitali in tal senso offrendo a tutti gli investitori:

– assistenza qualificata per superare le difficoltà e gli ostacoli normativi legati agli investimenti esteri semplificando al contempo la procedura di accesso agli incentivi;

– accesso facilitato a rapporti di partnership con aziende, governi statali e locali o altri stakeholders;

– un flusso di informazioni chiaro in grado di indirizzare il processo di selezione degli incentivi disponibili. Gli strumenti più diffusi riguardano, ad esempio, prestiti a tassi agevolati e crediti di imposta di varia tipologia, che possono differenziarsi per forma e tempistica di elargizione in funzione dello Stato e dalla Contea da cui vengono proposti.

Le opportunità e il numero degli incentivi a disposizione sono molto elevati e per tale motivo e’ necessaria un’attenta analisi preliminare da parte dell’azienda che voglia investire negli Stati Uniti. Analisi che deve essere svolta accuratamente tra i programmi offerti dai vari Stati partendo dalle aree geografiche di maggior interesse.
In relazione alla propria capacita’ d’investimento e alle esigenze specifiche è necessario inoltre valutare attentamente quali siano i requisiti necessari per poter accedere ai programmi offerti coerentemente con i propri obiettivi. La complessità di questa analisi può essere facilmente superata grazie all’affiancamento di professionisti locali in grado di guidare l’investitore nella scelta della struttura societaria più adatta, nelle relazioni con le agenzie governative preposte alla concessione degli incentivi ma sopratutto, frutto dell’esperienza e della presenza locale diretta, potranno compiere un’accurata selezione ed evitare programmi che potrebbero risultare di difficile approvazione o con tempi troppo lunghi, rendendo il processo più fluido ed efficiente.
Questo in quanto, a titolo di esempio, l’agenzia statale o governativa preposta potrà richiedere, quale condizione per l’erogazione degli incentivi, di essere coinvolta nelle fasi successive all’investimento, imponendo determinate clausole all’interno del contratto di locazione o di acquisto dell’immobile che l’investitore intende locare o acquistare per lo svolgimento dell’attivita’ commerciale.
La missione del Dipartimento del Commercio, anche attraverso l’iniziativa SelectUSA, è in definitiva quella di semplificare al meglio le relazioni tra investitori e società partner o anche tra investitore ed agenzia che concede gli incentivi.
Una missione di grande valore con risultati fin ora molto gratificanti, che però risentono in parte, nella gestione delle questioni burocratiche quotidiane, del grande successo che sta avendo il progetto. l tanti incentivi a disposizione costituiscono senza dubbio una grande opportunità per gli investitori e gli imprenditori stranieri.
La chiave per il successo rimangono la selezione efficace tra le molte opzioni disponibili e l’impegno per riuscita del progetto.

Bruno Cilio, Avvocato, Founding Partner di Cilio & Partners Law Firm

08/02/2012 – Milano Finanza

US looking for foreign investors

Con l’obiettivo di dare un’ulteriore forte spinta alla ripresa dell’economica nazionale, il governo degli Stati Uniti d’America ha messo in atto nel corso degli ultimi mesi importanti iniziative per favorire l’investimento nel territorio americano di capitali esteri.
Dal 2011 il Dipartimento del Commercio statunitense sotto la guida dell’amministrazione Obama ha lanciato, tra le varie iniziative, SelectUsa (Scegli gli Usa), nome abbastanza esplicativo, il cui obiettivo primario è attrarre investitori esteri al fine di creare nuovi posti di lavoro, stimolare la crescita economica e rilanciare la competitività dell’industria statunitense.

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SelectUsa incoraggia e facilita gli investimenti delle imprese estere negli Stati Uniti offrendo a tutti:

– assistenza nel superare difficoltà e ostacoli normativi nell’ambito degli investimenti, semplificando agli investitori esteri le procedure di accesso agli incentivi;

– un accesso facilitalo per gli investitori a rapporti di partnership con aziende, governi statali e locali o altri stakeholder;

– un flusso di informazioni chiaro che sappia indirizzare l’investitore nel processo di selezione degli incentivi.

Gli strumenti più diffusi riguardano, per esempio, prestiti a tassi agevolati e crediti di imposta di varia natura, che possono differenziarsi per forma e tempistica di erogazione in funzione dello Stato e dalla Contea da cui vengono proposti.
Le opportunità e il numero degli incentivi a disposizione degli investitori sono molto elevati e per tale motivo è necessaria un’attenta analisi preliminare da parte dell’azienda che voglia investire negli Stati Uniti. L’analisi deve essere svolta accuratamente tra i programmi offerti dai
vari Stati partendo dalle aree geografiche di maggior interesse. In relazione alla propria capacità d’investimento e alle esigenze specifiche è necessario inoltre valutare attentamente quali siano i requisiti necessri per accedere ai programmi offerti e raggiungere i propri obiettivi.
La missione del Dipartimento del Commercio, anche attraverso l’iniziativa SelectUsa, è di semplificare al meglio le relazioni tra investitori e società partner o anche tra investitore e agenzia che concede gli incentivi.
Una missione di grande valore con risultati finora molto gratificanti, che però risentono in parte, nella gestione delle questioni burocratiche quotidiane,del grande successo che sta avendo il progetto.
A causa dell’alto numero di richiedenti, oltre al servizio che il Dipartimento offre nel corso dell’intero processo di concessione degli incentivi, è necessario l’aiuto di consulenti locali, con competenze in ambito legale, commerciale e tributario, anche dopo l’analisi preliminare ec dopo aver selezionato il programma che faccia al proprio caso. Questo in quanto, a titolo di esempio, l’agenzia statale o governativa preposta potrà richiedere, quale condizione per l’erogazione degli incentivi, di essere coinvolta nelle fasi successive all’investimento, imponendo determinate clausole all’interno del contratto di locazione o di acquisto dell’immobile che l’investitore intende locare o acquistare per lo svolgimento dell’attiviùa commerciale.
L’aiuto di professionisti è utile quindi per superare possibili ostacoli, avere un necessario riferimento quotidiano in loco pronto
ad aiutare l’investitore in ogni momento nel corso del processo di approvazione.
In ogni caso ne vale la pena, perché i tanti incentivi a disposizione costituiscono al di là di ogni dubbio una grande opportunità per gli investitori e gli imprenditori stranieri.

di Bruno Cilio – Studio Legale Cilio & Partners

07/19/2012 – Il Sole 24 Ore

Bruno Cilio interview

L’Avvocato Bruno Cilio è socio fondatore e titolare di Cilio & Partners, Studio Legale Internazionale con sede principale negli Stati Uniti, a New York, e uffici in Italia, a Roma. Dopo aver conseguito la laurea presso l’Università di Napoli, l’Avvocato Cilio ha successivamente ottenuto un Master in Diritto Comparato presso la Pace University School of Law di New York.
L’Avvocato Cilio, che ha lavorato nel corso della sua carriera quale avvocato d’affari sia in Italia che negli USA, ha fondato Cilio & Partners alla fine degli anni ’90 a New York; è membro del Ordine degli Avvocati dello Stato di New York e di Avellino; fa parte del Foreign, Corporate and International Law Committees of the New York County Lawyer’s Association.

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LA FORMAZIONE
Quando sono nati il Suo interesse per il diritto e la consapevolezza di intraprendere la carriera di avvocato?
Sono nati da quando ero piccolo, in modo inconsapevole, rispondevo a cinque anni che da grande volevo fare l’avvocato. Possiamo dire che ho sempre saputo cosa volevo!
Quali sono stati i Suoi studi giuridici?
Nel 1997 ho conseguito la laurea in Giurisprudenza presso l’Università Federico II di Napoli. Successivamente, dopo essermi trasferito negli USA, ho ottenuto un Master in Diritto Comparato presso la Pace University School of Law di New York.

L’ATTIVITÀ PROFESSIONALE
Il suo percorso professionale prima di fondare lo Studio Legale Cilio & Partners?
Ho lavorato presso uno studio americano specializzato in arbitrato e poi per lo studio legale di un avvocato italiano di cui, dopo un anno sono diventato socio.
Come mai la decisione di fondare uno studio negli Usa?
La decisione di fondare Cilio & Partners è stata la naturale evoluzione di un percorso professionale che stavo portando avanti, unitamente al mio spirito imprenditoriale e alla voglia di far nascere e crescere una mia attività in un contesto sicuramente interessante e ricco di opportunità come New York e, piu’ in generale, gli Stati Uniti d’America.
Quale ruolo ricopre e quali attività svolge attualmente all’interno dello Studio?
Sono Founding Partner dello studio. Mi occupo naturalmente di seguire quotidianamente assieme ai miei collaboratori i nostri clienti, tra cui alcune tra le maggiori aziende e istituzioni italiane presenti sul mercato americano, che abbiamo l’onore e il piacere di assistere da diversi anni attraverso la nostra sede di New York. Inoltre, dedico parte del mio tempo all’attività di new business e di relazioni istituzionali dello studio.
Un successo professionale che non dimentica mai?
Credo che per me il successo professionale più importante sia rappresentato non tanto da un singolo episodio quanto dall’affermazione e dalla crescita di Cilio & Partners qui a New York e negli USA. Come ho detto prima il mercato americano è sicuramente ricco di opportunità ma, al tempo stesso, è fortemente selettivo ed esigente, ancor di più il mercato di New York dove non mancano certamente studi legali e professionisti qualificati. Per questo motivo credo che la mia più grande soddisfazione rimanga quella di essere riuscito a imporre il mio studio tra le realtà italiane di riferimento sul mercato cross-border USA-Italia, grazie alla fiducia dei nostri clienti e all’apprezzamento per il lavoro che ogni giorno svolgiamo per loro.
È membro di associazioni professionali?
Si, sono membro del Ordine degli Avvocati dello Stato di New York e di Avellino. Faccio parte inoltre del Foreign, Corporate and International Law Committees of the New York County Lawyer’s Association.
Lo strumento tecnologico che considera indispensabile per la Sua professione?
Sicuramente il mio IPhone, che mi permette di essere in contatto con i miei clienti e collaboratori in qualunque momento e in qualsiasi parte del mondo.

LO STUDIO
Che tipo di specializzazione hanno i professionisti dello Studio?
Le principali aree di attività dello studio comprendono M&A, diritto societario, ristrutturazioni societarie, contratti commerciali internazionali, proprietà intellettuale, real estate, immigrazione, arbitrato e contenzioso commerciale.
Lo Studio Cilio & Partners nel corso degli anni ha avuto modo di assistere alcune tra le maggiori realtà aziendali e istituzioni finanziarie italiane presenti negli Stati Uniti e operanti su attività cross-border Italia-USA.
E’ importante inoltre ricordare che Cilio & Partners, in virtu’ del proprio track record, ha sviluppato un forte know-how nell’affiancamento di PMI italiane, assistendole in programmi di sviluppo a New York e sul mercato americano. In questo ambito recentemente lo studio ha affiancato lo stilista Angelo Galasso per lo start-up della filiale USA e l’apertura del primo flagship store presso lo storico Hotel Plaza di New York e la nota catena di pizzerie napoletane “Fratelli la Bufala”.
Come è strutturato il Suo Studio?
Complessivamente siamo sette professionisti, italiani ed americani, che vantano oltre 15 anni di esperienza sul mercato USA e un solido track record professionale nei vari ambiti di attività.
Dove sono dislocate le sedi dello Studio?
La sede principale dello studio è a New York City, al 405 di Park Avenue. Abbiamo inoltre una sede a Roma, in Piazza della Balduina e in autunno apriremo la nostra prima sede in Asia, più precisamente ad Hong Kong.
Quali sono le problematiche attuali del settore in cui siete più attivi?
Attualmente stiamo supportando diversi clienti per investimenti in ambito immobiliare. Il mercato americano, e in particolar modo New York, continua a rappresentare un mercato di particolare interesse per gli investitori europei e italiani.
Inoltre stiamo seguendo diverse aziende italiane del settore alimentare e moda per lo sviluppo del proprio business sul mercato USA.
L’avvocato d’affari che si occupa oggi di operazioni cross-border Italia-Usa quali servizi offre ai propri clienti?
L’avvocato d’affari che assiste aziende e imprenditori italiani sul mercato USA deve saper coniugare due elementi: la conoscenza approfondita della legge e del sistema giuridico americano, punto imprescindibile che richiede un continuo studio e aggiornamento, unitamente alla capacità di saper affiancare il proprio cliente a 360 gradi anche su esigenze e tematiche non strettamente legali.
In sintesi, l’avvocato deve essere a tutti gli effetti un consulente completo, che non si limita solo a svolgere il proprio compito ma che sia in grado di affiancare e consigliare il proprio cliente nelle importanti scelte di ogni giorno, mettendo a disposizione l’esperienza business e non solo legale che abbiamo maturato negli anni. Del resto quello americano rappresenta per i nostri clienti un mercato molto spesso particolarmente importante e quindi il cliente ha l’esigenza di sentirsi in mani sicure e avere ogni giorno un riferimento locale affidabile su chi poter contare per qualsiasi esigenza.

LA PROFESSIONE DELL’AVVOCATO D’AFFARI
Quali sono i requisiti fondamentali di un avvocato d’affari?
Sicuramente la capacità di comprendere le esigenze del cliente, gli obiettivi che intende raggiungere, approfondendo nei dettagli quelle che sono le sue attività per meglio rappresentralo, per esempio nelle trattative contrattuali o nella formazione di una start-up.
Quanto è cambiato negli ultimi anni il modo di interpretare la professione di avvocato d’affari?
All’avvocato di oggi si richiedono le capacità di un imprenditore. L’avvocato non può e non deve essere semplicemente il destinatario delle istruzioni del cliente, ma deve interessarsi a tutti gli aspetti delle questioni che sta trattando e non solo a quelle poste dal cliente. Ad esempio, un cliente che acquista un immobile ha bisogno che gli vengano spiegate anche le implicazioni in materia successoria del suo acquisto oppure il modo per proteggersi dalle obbligazioni contrattuali, come in un contratto di affitto. In questo caso il mio studio non si limita a rivedere il contratto di compravendita, ma discute tutte queste problematiche con il cliente e propone delle soluzione senza attendere che sia il cliente a richiederle o a porle.
Ad un giovane professionista che vuole intraprendere la carriera di avvocato d’affari quale consiglio si sente di dare?
Ad un giovane che intende intraprendere la carriera qui a New York consiglio di metterci davvero tanta dedizione e impegno e la pazienza di maturare un’esperienza professionale seria. New York è una città che può darti davvero tanto dal punto di vista professionale, ma al tempo stesso può toglierti tutto in poco tempo perchè la concorrenza è fortissima. Bisogna quindi essere sempre in grado di fornire un servizio al meglio per i propri clienti perchè la buona reputazione è un elemento fondamentale per avere successo su questo mercato.
Può descriverci una Sua giornata di lavoro? La professione di avvocato d’affari come si svolge a New York?
La mia giornata comincia con le telefonate urgenti ai clienti all’estero, data la differenza di fuso orario, e rispondendo alle tante email che io e i miei collaboratori riceviamo durante la notte.
Poi si concentra sulla disamina dei contratti e la preparazione delle opinioni legali – e tante consulenze ai clienti – molte telefoniche. L’avvocato diventa un vero e proprio punto di riferimento per l’imprenditore, è parte integrale del suo team,  ed è incoraggiato a contattarlo per questioni grandi e piccole, soprattutto quando uno studio legale, come il nostro ad esempio, non applica la tariffa oraria per le comunicazioni con i clienti. Questo è un aspetto molto importante, poichè riteniamo infatti che questa pratica, molto diffusa tra gli studi americani, rischia di scoraggiare il cliente a ricorrere al consiglio “veloce” dell’ avvocato, portandolo magari a prendere delle decisioni sbagliate che possono avere delle conseguenze disastrose. Pensiamo, ad esempio, al licenziamento di un dipendente in violazione delle norme vigenti: un errore del genere potrebbe costare al cliente una costosa causa di lavoro.

DIETRO LA TOGA…
La Sua passione per la ristorazione?
La passione per la ristorazione è nel mio DNA da sempre. Faccio parte della delegazione di New York dell’Accademia Italiana della Cucina e sono un grande appassionato di cucina italiana e in particolar modo campana, date le mie origini.
Questa passione, grazie anche all’amicizia con il mio socio Dario Cipollaro, nel luglio del 2011, è diventata anche business, con all’apertura di “PizzArte”, primo concept di pizzeria-galleria d’arte a New York, nel cuore di Manhattan, sulla 55ma strada.
Fin da subito PizzArte ha ottenuto grande successo e riscosso importanti consensi da parte della critica e dell’opinione pubblica newyorkese, grazie alla capacità di unire il gusto e l’autenticità della cucina napoletana con il talento degli artisti campani e italiani.
All’interno del ristorante sono esposte infatti opere d’arte realizzate da alcuni tra gli artisti più rappresentativi del panorama dell’ arte italiana contemporanea tra cui il maestro Lello Esposito che per PizzArte ha realizzato ventiquattro tele direttamente a New York, e la famosa scultrice Paola Romano, che ha esposto tra l’altro alla Biennale di Venezia e al Quirinale,.
Nel corso di pochi mesi PizzArte ha già ricevuto prestigiosi riconoscimenti da parte di alcuni tra i maggiori media americani tra cui il Wall Street Journal e New York Magazine, che ha definito PizzArte “the best pizza in Midtown Manhattan”.
Anche questa è sicuramente stata una grande soddisfazione personale, perchè fare ristorazione a New York non è certamente facile e anche in questo settore la concorrenza è altissima.

06/27/2012 – Legal Community

Cilio & Partners legal advisor of Fratelli La Bufala in its expansion in USA

Inaugurata nel corso delle scorse settimane la prima sede a New York di “Fratelli La Bufala”, noto marchio di ristorazione “Made in Italy” che fa capo al Gruppo Emme Sei, al 2161 Broadway, nell’Upper West Side. La sede di New York, che rappresenta il debutto assoluto nella Grande Mela per Fratelli La Bufala, fa seguito alle recenti aperture di Londra e Berlino e rappresenta la seconda location del brand negli USA dopo Miami Beach, inaugurata nel 2004. Nel progetto di espansione del marchio “Fratelli La Bufala”

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06/27/2012 – Top Legal

Cilio & Partners legal advisor of Fratelli La Bufala in its expansion in USA

“Fratelli La Bufala”, marchio di ristorazione made in ltaly che fa capo al gruppo Emme Sei, con l’assistenza dello Studio Legale Cilio & Partners, coordinato dal founding partner Bruno Cilio ha inaugurato, nel corso delle scorse settimane, la prima sede a Ncw York, al 2161 Broadway, neil’Uppcr West Side.
L’apertura nella Grande Mela, seconda location del brand negli Usa dopo Miami Beach, inaugurata nel 2004, segue le recenti inaugurazioni di Londra e Berlino. Cilio & Partners ha assistito Emme Sei in tutte le attività relative all’apertura della prima sele di New York.

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06/19/2012 – Top Legal

Bruno Cilio interview on Manhattan real estate market

Il fascino di New York è un evergreen ed esercita, in particolare sugli italiani, un’attrazione irresistibile. Chi
non vorrebbe avere un appartamento a Manhattan? Negli ultimi anni, infatti, il mercato immobiliare newyorchese
è stato fortemente sostenuto dagli investitori esteri (in particolar modo europei, che acquistano
oltre un terzo dei condomini in vendita). Le condizioni per gli investitori sono state particolarmente favorevoli
in quanto hanno beneficiato di un contesto di mercato unico.

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Oltre al cambio valutario favorevole si è venuto a creare uno scenario di mercato particolarmente interessante a
seguito della crisi finanziaria che ha colpito in modo forte il mercato locale, generando una discesa dei prezzi e
conseguentemente la presenza di opportunità di investimento particolarmente attraenti per investitori stranieri.
Tanti sono stati i gruppi che hanno incrementato il proprio portafoglio di immobili. “Uno degli investitori
istituzionali italiani certamente tra i più attivi a New York – dice Bruno Cilio, founding partner di Cilio &
Partners – è il Gruppo Sorgente, che nel 2009 ha acquisito il controllo dello storico Flatiron Building e
ha concluso altre operazioni rilevanti nel corso del 2010 nell’ Historic District di Tribeca per oltre 20 milioni di
dollari. La loro espansione è la dimostrazione concreta che per chi ha disponibilità finanziarie e può investire,
New York rappresenta un mercato immobiliare sempre molto interessante”. Ma tanti sono l soggetti privati
italiani che hanno portato a termine investimenti, generalmente tra i 700 mila e 1,5 milioni di euro. “Ci sono
anche i investitori istituzionali interessati a operazioni tra i 15 e i 30 milioni di euro”, precisa Cilio.
Tutti hanno risentito della crisi e anche negli States il mercato ha subìto forti ripercussioni, ma il cosiddetto
“super luxury”, rappresentato dalle proprietà di valore superiore ai 10 milioni di dollari, ne ha risentito
certamente in misura minore. “Nel corso dell’ultimo anno il mercato del super luxury immobiliare è cresciuto
in valore del 13% rispetto al 3-4% del mercato immobiliare complessivo (in volumi +11 %). L’esempio più
lampante di questo trend di crescita -continua Cilio- è rappresentato dal successo che sta riscuotendo il
progetto residenziale “One 57″, un nuovo condominio di 90 piani situato a pochi passi da Centrai Park, sulla
57 ma strada”. Il condominio, attualmente in costruzione, sarà ultimato solo a inizio 2014, ma a soli sei mesi dal
lancio sul mercato oltre il 50% degli appartamenti sono già stati venduti, per un giro d’affari ad oggi pari a
oltre il miliardo di dollari. “Pochi giorni fa -ricorda Cilio- è stato annunciato il closing della più grande
transazione della storia del mercato residenziale di New York alla cifra record di 90 milioni di dollari per la
duplex penthouse di One57, situata all’89esimo e al 90esimo piano, con una vista a 360 gradi sulla città e su
Centrai Park”.
Manhattan resta una delle mete più ambite per gli investimenti e il mercato resta florido, tenendo botta alla
crisi. Tra i motivi che spingono gli investitori a puntare sulla Grande Mela c’è “la particolare trasparenza del
mercato ncwyorkese -spiega l’avvocato-. Grazie all’enorme mole di infonnazioni e di analisi attualmente
disponibili, chi investe può avere una ragionevole certezza ex ante dei costi e del rendimento netto del proprio
investimento”.
Ma se New York regge bene alla crisi, Miami e Hollywood non attraggono investimenti allo stesso modo.
“Mentre New York -analizza Cili-, nel momento più difficile, ha subìto un calo dei valori immobiliari entro
il l0-15% (peraltro recuperando buona parte del calo in pochi mesi), i mercati di Hollywood e in particolare
Miami hanno subito dei veri e propri crolli, con discese di prezzi in alcuni casi pari anche al 70-80%”».
Nel corso degli ultimi mesi il mercato di Miami sta recuperando parte del valore perso a seguito della crisi,
anche se un profilo di rischio molto più elevato rispetto a New York. La ripresa del mercato è comunque
principalmente dovuta agli investitori esteri, in particolar modo europei ma soprattutto sudamericani, con un
forte incremento di investitori brasiliani e argentini.

05/21/2012 – Italia Oggi

Cilio & Partners advises Angelo Galasso in its expansion on the US market

Inaugurato il flagship store dello stilista Angelo Galasso presso la Edwardian Room dello storico Hotel Plaza a New York.
La boutique di New York, che rappresenta il debutto assoluto sul mercato americano per Angelo Galasso, fa seguito alle recenti aperture della maison a Milano e Mosca e al primo negozio monomarca di Londra.
Nel progetto di espansione sul mercato americano Angelo Galasso è assistito dal team di professionisti dello studio legale Cilio & Partners, coordinato dal founding partner Bruno Cilio.
In particolare Cilio & Partners ha assistito Angelo Galasso in tutte le fasi di costituzione e start-up della filiale USA e nell’apertura del flagship store presso l’Hotel Plaza.

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05/15/2012 – Il Sole 24 Ore

Cilio & Partners advises Angelo Galasso in its expansion on the US market

Inaugurato il flagship store dello stilista Angelo Galasso presso la Edwardian Room dello storico Hotel Plaza a New York.
La boutique di New York, che rappresenta il debutto assoluto sul mercato americano per Angelo Galasso, fa seguito alle recenti aperture della maison a Milano e Mosca e al primo negozio monomarca di Londra.
Nel progetto di espansione sul mercato americano Angelo Galasso è assistito dal team di professionisti dello studio legale Cilio & Partners, coordinato dal founding partner Bruno Cilio.
In particolare Cilio & Partners ha assistito Angelo Galasso in tutte le fasi di costituzione e start-up della filiale USA e nell’apertura del flagship store presso l’Hotel Plaza.

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05/15/2012 – Legal Community

Cilio & Partners advises Angelo Galasso in its expansion on the US market

Inaugurato il flagship store dello stilista Angelo Galasso presso la Edwardian Room dello storico Hotel Plaza a New York. La boutique di New York, che rappresenta il debutto assoluto sul mercato americano per Angelo Galasso, fa seguito alle recenti aperture della maison a Milano e Mosca e al primo negozio monomarca di Londra. Nel progetto di espansione sul mercato americano,

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04/23/2012 – Il Sole 24 Ore

Cilio & Partners case study on incentives for foreign investors in the USA

American dream con l’incentivo. Risorse federali e agevolazioni dei singoli Stati per attirare investitori esteri

“Fissare un appuntamento con il governatore Rick Perry è stato facile. Poi, quando mi sono seduto dì fronte a lui, è andato dritto al punto: se vi interessa aprire uno stabilimento qui – ha detto – ecco quello che vi posso offrire.
La differenza con l’Italia è proprio questa: sin da subito si ha ben chiaro quali sono gli incentivi e il loro impatto. I tempi di discussione, poi, sono brevissimi”.
Guido Ghisolfi, amministratore delegato del gruppo chimico M&G di Tortona, uno dei leader mondiali nella produzione di Pet, ha scelto Corpus Christi, in Texas, per sviluppare un progetto dì investimento che genererà circa 250 posti di lavoro. Al vantaggio logistico e strategico si sono sommati i benefici fiscali.

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È un richiamo forte e chiaro quello che proviene dagli Usa per attirare investimenti esteri. Un ventaglio di incentivi messi sul piatto dall’amministrazione federale a cui si sommano formule ad hoc offerte dai singoli Stati, che innescano una vera e propria competizione
per aggiudicarsi nuovi investitori in grado di contribuire allo sviluppo della loro area. A questi si aggiungono le agevolazioni a livello locale, con esenzione parziale o totale delle tasse municipali o sconti sul prezzo dell’energia. I programmi, secondo una mappatura effettuata dallo Studio legale Cilio and Partners con un focus su 5 Stati, possono essere suddivisi in due categorie: crediti di imposta o finanziamenti agevolati, declinati in numerose proposte.
Il focus dell’amministrazione federale è soprattutto sulle Pmi grazie allo “Small Business Administration”, che eroga direttamente o indirettamente finanziamenti agevolati attraverso i normali canali di credito. Gli incentivi a livello statale e locale sono senza dubbio i più interessanti per le imprese italiane.
Gli sgravi fiscali sono spesso cumulabili, ma il tetto varia da Stato a Stato. La gamma è disparata, con crediti di imposta per chi amplia un sito produttivo o investe nell’industria manifatturiera, per chi acquista macchinari per lo smaltirnento dei rifiuti o costruisce centri per l’infanzia in azienda.
Sul fronte finanziario numerosi Stati offrono prestiti obbligazionari esentasse per l’acquisto di impianti o terreni o fondi vincolati allo sviluppo del territorio. Altre opportunità possono anche derivare dalle Enterprise Zones, aree di potenziale sviluppo produttivo che premiano chi si insedia.
“Ottenere incentivi come la riduzione della corporate tax e quellisulla formazione del personale non è difficile – dice Giulio Bonazzi, numero uno di Aquafil, che nel 2004 ha costruito in Georgia un impianto per l’estrusione del filo sintetico – gli Stati sono molto attrezzati e quando ne hai già beneficiato ti scrivono e ti aggiornano, fanno vera promozione”.
Qual’è l’identikit ideale dell’impresa italiana potenzialmente interessata agli incentivi? «Tutte le aziende, a prescindere dalle loro dimensioni – risponde Aniello Musella, direttore dell’ufficio Ice di New York e coordinatore degli uffici Ice negli Usa – possono accedere agli incentivi offerti se rispettano i criteri stabiliti. All’atto pratico vengono però privilegiati progetti che possono avere un impatto economico e sociale rilevante per il territorio. Il pacchetto di incentivi messo a punto per una specifica azienda è spesso il risultato di negoziazioni tra la società e le varie autorità locali competenti”. Tanto che, gli fa eco Pasquale Bova, responsabile dell’ufficio Ice di Chicago, “è importante che le aziende italiane comunichino alle amministrazioni locali il loro interesse a valutare offerte disponibili da altre agenzie di sviluppo e regioni mettendo in competizione i vari territori”.
Il diaJogo con l’amministrazione è dunque un fattore determinante per poter partire con il piede giusto.
Ne sa qualcosa Gokhan Baykam, presidente di Relight Usa. “Nel nostro settore, quello delle energie rinnovabili – spiega- per realizzare un progetto occorrono 5-6 anni e il rapporto con le autorità è essenziale”. Relight, negli Usa dal 2oo8, ha iniziato quest’anno l’iter di approvazione per due progetti di investirnento nell’Illinois che partiranno nel 2013 – “Siamo andati a parlare con l’Autorità per l’energia e sono stati loro a illustrarci gli incentivi e a metterci in contatto con l’agenzia per gli investimenti nel giro di qualche settimana. Beneficeremo – afferma – della federal production tax credit con uno sconto per i primi dieci anni di vita dell’impianto. Lo
schema federale è molto lineare e chiaro”. L’Illinois, spiega il governatore Pat Quinn, “ha molto da offrire alle imprese italiane. Tra i programmi uno dei più indicati è Advantage Illinois che offre prestiti per le Pmi da utilizzare per le normali attività di business.
Tutti gli incentivi sono però legati a un progetto e dipendono dalla portata dell’investimento e dai posti di lavoro creati”.

Chiara Bussi

04/23/2012 – Il Sole 24 Ore

Bruno Cilio bylined article on incentives for foreign investors in the USA

Necessario un piano di fattibilità dettagliato

Gli Stati Uniti offrono diversi incentivi alle società che intraprendono attività commerciali nei confini nazionali, capaci di creare posti di lavoro per gli americani.
I programmi più diffusi e utilizzati consistono in prestiti a tassi agevolati e crediti di imposta.
Dato l’elevato numero di incentivi messi a disposizione e le numerose differenze, sia in base alla localizzazione geografica, sia alla consistenza dell’investimento programmato, l’azienda dovrà, in una fase preliminare,compiere un’accurata analisi volta a selezionare il programma e l’area del Paese più adatti alle proprie esigenze, definendo gli obiettivi e i capitali da mettere a disposizione, evitando programmi che potrebbero risultare di difficile approvazione o con tempistiche troppo lunghe.

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La disponibilità delle agenzie governative e statali a dialogare con l’investitore favorisce il rapido svolgimento della procedura.
Tuttavia, per svolgere quest’analisi nel migliore dei modi, gioca un ruolo chiave il coinvolgimento di risorse e di professionisti locali,che potranno guidare l’investitore
nella scelta della struttura societaria più adatta e aiutarla nelle relazioni con le agenzie governative e statali preposte alla concessione degli incentivi.

I programmi offerti dagli Stati e dal governo federale richiedono infatti un attento studio di fattibilità del progetto da un punto di vista legale e fiscale, sia nella fase iniziale che nel corso dell’intera procedura, per decidere se sia vantaggioso ottenere il finanziamento sulla base delle condizioni poste dall’ente erogatore. Si pensi ad esempio ai casi in cui sia previsto, quale requisito necessario,l’obbligo di assumere un determinato numero di dipendenti all’interno di una particolare categoria di soggetti, o l’assunzione di garanzie personali a fronte di prestiti concessi a tasso agevolato. O ai casi in cui l’agenzia statale o governativa preposta alla concessione degli incentivi potrà richiedere, quale condizione per l’erogazione degli stessi, di essere coinvolta nelle fasi successive dell’investimento, imponendo, ad esempio, determinate clausole all’interno del contratto di locazione o di acquisto dell’immobile che l’investitore intende locare o acquistare per lo svolgimento dell’attività commerciale.

Avvocato Bruno Cilio
fondatore Cilio & Partners P.C.

02/10/2012 – Corriere della Sera

Bruno Cilio interview on Costa Crociere case

Giglio, il rebus dei tribunali per i risarcimenti Genova competente, Florida per le super-cifre.
Avvocati a confronto: “Negli Usa rimborsano anche lo stress”/”Una scelta impraticabile: è soltanto una perdita di tempo”

MILANO – Chi è scampato al naufragio della Costa Concordia si trova ora di fronte a scelte difficili, e tra queste c’è quella che riguarda gli indennizzi. Chi non vuole accettare la prima compensazione offerta da Costa Crociere deve decidere se fare causa in Italia o, come suggeriscono molti, negli Stati Uniti.

BIGLIETTI – All’acquisto del biglietto i passeggeri hanno accettato una clausola che fissa il tribunale competente a Genova. Ma c’è chi spera di portare la causa davanti al Tribunale competente per la Carnival Cruise Lines, la compagnia americana che nel 2000 ha acquistato Costa. E quindi in Florida.

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“CARNIVAL È RESPONSABILE” – “La Carnival è la casa madre e quindi ha delle responsabilità. E’ coinvolta nelle varie procedure di gestione di Costa, e queste riguardano anche i metodi di formazione dell’equipaggio, la gestione delle informazioni a bordo, la definizione delle rotte”, spiega al telefono l’avvocato John Arthur Eaves, specialista in materia di incidenti e risarcimenti anche milionari. Il suo obiettivo è di portare la causa, o le cause (“perché in questo bisogna veramente valutare da persona a persona”), in America. “Puntiamo a una soluzione extragiudiziale, se non si arrivasse a ottenerla, allora si andrebbe in tribunale”.

GIURISDIZIONE – C’è, però, chi è scettico. La replica è affidata a Bruno Cilio, titolare di uno studio con sede a Park Avenue: “Non è una considerazione di natura giuridica. Se si acquista un biglietto che fissa una città italiana come foro competente esclusivo, e la crociera non approda negli Stati Uniti, non esiste la giurisdizione di un tribunale americano – valuta – Sono clausole che servono ad evitare alle compagnie contenziosi in troppi posti diversi in caso di passeggeri di diverse nazionalità”. Inoltre, sottolinea, “la Carnival è una semplice azionista della Costa. Non vedo perché si dovrebbe rivolgersi a loro. A meno di non muoversi con una class action. Perché con quella vado a colpevolizzare la condotta di un intero gruppo, e allora sì: quella di Carnival e Costa è stata molto negligente”. L’azione collettiva è però respinta dallo studio legale di Eaves: “Vista la grande varietà di effetti che questa tragedia ha avuto, sarebbe inappropriata.
Implicherebbe una conformità forzata del trattamento, e richiederebbe tempi più lunghi. Crediamo con forza nella necessità di procedere con azioni individuali”.

IL PRECEDENTE – Nell’agosto del 2011 la compagnia di navigazionee Regent Seven Seas Cruises ha vinto una causa contro un passeggero. La signora californiana Nina Seung si era rotta una gamba nel corso di una crociera partita da Tahiti. Si appellò alla corte federale di Fort Lauderdale (sud della Florida), ma il contratto di imbarco citava Parigi quale foro competente. Non è il primo caso in cui la giustizia Usa si è schierata contro il passeggero. Nonostante questo il 26 gennaio è arrivato il primo “attacco” a Carnival e Costa insieme. Gary Lobaton, membro peruviano dell’equipaggio della Concordia, ha presentato denuncia presso la corte federale di Chicago e punta a promuovere una class action che coinvolga chiunque fosse a bordo. L’accusa è di negligenza per una evacuazione senza condizioni di sicurezza, e chiede un risarcimento complessivo da 100 milioni di dollari.

EMOTIVITÀ – A far pendere la bilancia verso l’estero potrebbe esserci il fattore emotivo: lo choc dell’incidente, o quello dell’attesa di un corpo da recuperare, un’attesa che per molti non si è ancora conclusa, là avrebbero un peso. “La principale differenza tra il sistema giuridico ameericano è che negli Stati Uniti c’è un fattore che viene considerato e valutato molto di più, ed è quello psicologico”, ribadisce Eaves, che nel 2000 riuscì a far risarcire i familiari delle vittime dell’incidente del Cermis con 4 miliardi di lire.

I COSTI – Ammesso e non concesso che venga riconosciuta l’America come foro competente, però, “le class action hanno tempi lunghi e anche molto costosi, e alla fine sono costi che pagano i clienti. Pensare di portare in Florida il capitano, Francesco Schettino, o di raccogliere le varie testimonianze e portarle là dall’Italia, o anche solo di tradurre tutta la documentazione … I costi del procedimento sarebbero molto più alti”, replica Cilio, che aggiunge: “Si tratterebbe di un processo italiano spostato ad altra giurisdizione”.

LUNGAGGINI DELLA GIUSTIZIA – A spaventare, però, i passeggeri italiani è l’esasperante lentezza della giustizia nostrana. Costa Concordia ha già proposto a chi ha subito danni materiali una compensazione da 14.000 euro a persona. Una cifra, però, che non può ripagare l’aspetto emotivo della vicenda, lo spavento legato alla notte del 13 gennaio. “Non è che l’Italia non riconosca questo tipo di danni -assicura Cilio – Nessuno è obbligato ad accettare l’offerta transattiva di Costa, si può sempre fare causa. Le possibilità che parta una class action in Florida sono molto poche, secondo me”. Da parte sua, però, Eaves stima che le eventuali cause americane, una volta avviate, possano chiudersi “in uno, o due anni. In caso di soluzione extragiudiziale potrebbero esserci anche tempi più brevi”.

Maria Strada

02/04/2012 – America 24 / Il Sole 24 Ore

Cilio & Partners view on Costa Concordia class action in the US

Class Action a Miami contro Costa Crociere. È la via migliore?

La class action dei passeggeri sopravvissuti alla tragedia della Costa Concordia, presentata dall’associazione dei consumatori Codacons in collaborazione con gli studi legali di New York, Napoli Bern Ripka Shkolnik e Proner e Proner potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio.

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È questo il parere dell’avvocato Bruno Cilio, fondatore dello studio legale Cilio and Partners di Manhattan, che si è detto scettico nei confronti dell’azione collettiva lanciata a Miami e diretta a far ottenere a tutti i passeggeri, italiani e stranieri, che aderiranno, circa 460 milioni di dollari (350 milioni di euro). La notizia era stata diffusa la scorsa settimana, appena ventiquattro ore dopo la conclusione dell’accordo, a seguito di una trattativa fiume, tra Costa Crociere e la maggior parte delle
associazioni di consumatori, di risarcire ogni passeggero con 14.000 euro, riservando un trattamento diverso ai feriti e ai parenti delle vittime. Un risultato, definito “un’elemosina” da Codacons, che aveva deciso di non aderire.

Tra le clausole incluse sui biglietti acquistati e sul contratto firmato prima del viaggio, infatti, c’è un punto riguardante la scelta del Foro competente in caso di controversie, che nel caso specifico, è quello di Genova. Secondo Cilio, inoltre, sul contratto è specificato che solo “per una crociera Costa che tocca gli Stati Uniti, i procedimenti devono essere presentati presso la corte federale nel sud della Florida”. Le aspettative, per un causa collettiva multimilionaria, secondo l’avvocato sarebbero state alimentate da comunicazioni, a volte sensazionalistiche e “dall’atteggiamento da parte di alcuni studi legali che provano a sfruttare il contesto favorevole e la voglia di rivalsa delle vittime per alimentare il proprio business”.

Una class action con foro in Florida, dunque potrebbe comportare numerosi rischi. Primo fra tutti, quello di non poter intraprendere un’azione legale parallela in Italia, provocando un ulteriore danno se questa si rivelasse inefficace.

02/01/2012 – Milano Finanza

Bruno Cilio interview on Costa Concordia class action in the US

A rischio flop l’azione legale negli Usa per la tragedia del Giglio

La strada delle class action contro la Costa negli Usa potrebbe non avere successo. Lo sostiene Bruno Cilio, un avvocato italiano che guida a New York lo studio legale internazionale Cilio & Partners. Il quale ricorda come nel caso di crociere “come la Costa Concordia, che non toccano in alcun modo le coste e i mari staltlnitensi, le clausole del biglietto di viaggio specificano in modo chiaro e inequivocabile che eventuali cause legali devono essere presentate presso il Tribunale di Genova, dove hanno sede gran parte delle attività della società”.

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Lo stesso Cilio cita un precedente dello scorso agosto, quando una donna californiana fece causa a Fort Lauderdale in Florida nei confronti di una compagnia di crociere dopo essersi rotta una gamba a bordo della nave. In quel caso la nave era partita da Tahiti e il foro competente, secondo il biglietto di viaggio, era quello di Parigi.
Per questo la denuncia negli Usa è stata respinta. E ciò smentirebbe la tesi di alcuni legali americani che puntano sul riconoscimento della giurisdizione di Miami per class action nei confronti della Costa Crociere e della Carnival Cruises che controlla il gruppo.

Cilio è convinto che il rischio sia quello che alcuni passeggeri della Concordia arrivino a credere che la “giusta strada” sia quella di perseguire una class action negli Usa mettendo in secondo piano o addirittura rifiutando accordi concreti che porterebbero a un risarcimento immediato.

L’avvocato newyorkese si spinge oltre e segnala altri due rischi insiti nella scelta di lanciare class action contro la Costa negli Usa. Il primo è legato al fatto che resta aperta, in caso di contestazione degli accordi raggiunti, la strada di ricorrere al foro di Genova, mentre “optando per un’azione legale in Florida questa scelta impedirebbe una contestuale azione legale in Italia e quindi, se risultasse non efficace, produrrebbe un ulteriore danno per i passeggeri a causa del tempo e delle risorse perse”.

A questo si aggiunge che, secondo Cilio, ricorrere a una sede lontana dai fatti, quando tutte “le prove testimoniali e i documenti rilevanti sono in Italia”, renderebbe molto più lunga e costosa la causa e “alla fine le spese vengono pagate dal clienti degli studi”. Con l’aggiunta non secondaria che anche il giudice americano potrebbe respingere un’eventuale richiesta di class action proprio per effetto del “forum non conveniens”, in considerazione del Paese e della città dove è stata presentata. (riproduzione riservata)

Andrea Fiano – New York